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Cronaca

Muore in carcere per overdose di farmaci durante la rivolta Covid, gip archivia il caso

Per il gip di Bologna erano “prevalenti le ragioni di sicurezza generale”. Archiviato il caso di un giovane tunisino.

A Modena nel frattempo si indaga per tortura. Diversi gli agenti iscritti nel registro degli indagati.

Perquisire la cella di Khedhri Haitem, il 29enne tunisino morto per un’overdose di farmaci in carcere avrebbe potuto “dare adito a nuovi scontri” in un “contesto drammatico” dove “il preminente interesse da salvaguardare era la messa in sicurezza del penitenziario e delle persone detenute”.

Così, riferisce l’AGI, il gip di Bologna Alberto Gamberini ha archiviato il caso. La dirigenza della casa circondariale ‘Rocco D’Amato’ non avrebbe potuto impedire la morte dell’uomo di origini tunisine, uno dei 13 detenuti morti durante e dopo le rivolte nelle carceri del marzo 2020.

Il giudice ricostruisce il progressivo deterioramento della situazione all’interno del carcere, dopo che il governo aveva negato ai detenuti il diritto ai colloqui a causa delle misure anti Covid. Così il 9 marzo, dopo il fallimento dell’incontro ‘conciliatorio’ coi vertici penitenziari, cresceva lo scontento generale e gruppi sempre più corposi e agguerriti di detenuti iniziavano a insorgere, rifiutandosi di rimanere nelle proprie celle e pretendendo venisse riconosciuto il loro diritto ai colloqui”.

Lo scoppio della sommossa dei detenuti

Alcuni momenti della sommossa nel carcere di Bologna – Meteoweek

A un certo punto la rivolta aveva costretto le forze dell’ordine ad abbandonare il carcere. Col risultato, dice il gip, che “nel giro di due giorni il penitenziario risultava allagato, privo di sistema elettrico, incendiato in numerosi settori e completamente privo di controllo video per la distruzione delle telecamere”.

Una situazione aggravata ancor più dal fatto che i detenuti, il trenta per cento dei quali tossicodipendente, “avevano la disponibilità di un altissimo numero di farmaci e sostanze psicoattive”. La situazione degenera al punto tale che il 9 e il 10 marzo le istituzioni carcerarie rimangono all’esterno del muro di cinta nel tentativo di “rientrare in possesso del penitenziario”.

La morte di Khedhri

In questo contesto matura la tragedia di Khedhri Haitem. Il 10 giugno, verso mezzanotte, il prigioniero tunisino, che aveva preso parte alla rivolta, aveva preparato in cella la cena per il coinquilino Matteo G. Dopo era andato a dormire. Si era però nascosto qualcosa. Che il suo coinquilino, sapendo dei suoi trascorsi con la droga, ha pensato fossero medicinali. La tragedia è avvenuta l’indomani. Verso le 10.30, Khedhri ha smesso di russare. Due ore dopo Matteo G. gli gettava dell’acqua addosso. Ma invano: Khedhri era morto.

Mesi prima aveva detto di volersi uccidere. Lo ha rivelato il medico del penitenziario. Il carcere, si è chiesto il giudice, avrebbe potuto impedire la sua morte? Risulta ragionevole – risponde il magistrato la scelta della Direzione di non procedere immediatamente a una perquisizione generalizzata quantomeno sotto il profilo del mantenimento della situazione di sicurezza” perché “violare la privacy dei detenuti avrebbe manifestato una totale insensibilità delle istituzioni alle istanze avanzate da loro”.

Tanto più che manca la certezza sul momento in cui il giovane tunisino ha assunto gli psicofarmaci, se prima o dopo la ripresa del controllo del carcere. Dunque resta difficile, se non impossibile, stabilire se una perquisizione “tempestiva” avrebbe potuto prevenirne il decesso.

Agenti accusati di tortura a Modena

Gli scorsi giorni, riferisce l’AGI, la Procura di Modena ha iscritto nel registro degli indagati cinque agenti della polizia penitenziaria. Sono accusati di tortura e lesioni aggravate per i fatti accaduti nella città emiliana il 19 marzo. Lavorano ancora tutti presso il ‘Sant’Anna’. Le vittime delle presunte violenze sono sette.

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