A Milano la Procura da tempo ha scelto la linea dura contro un fenomeno pluricriminogeno ma spesso sottostimato.
Arriva la stangata contro i prestanome seriali a cui sono intestate le auto-fantasma.
In Italia c’è un’altra categoria di “furbetti”. Quelli che guidano un’auto «fantasma». Che non è quella dei Ghostbusters, ma un’auto intestata a una sfilza di prestanome. Un furbesco escamotage per schivare multe (quando va bene) o per commettere impunemente reati (quando va male).
Uno stratagemma che ora però potrebbe costare caro, molto caro. È quello che si apprende leggendo il Corriere della Sera. Una minisquadra della Procura di Milano infatti sta prendendo di petto questo fenomeno di illegalità spicciola, spesso sottovalutato anche se pluricriminogeno. Con un’opera più sistematica di contrasto che comincia a produrre effetti.
In quattro anni – a partire dal 2018 – i pm milanesi hanno già levato dalla circolazione di più 20 mila «auto fantasma». E adesso hanno emesso una delle prime condanne per «ricettazione» nei confronti di una persona che guidava una di queste auto radiate dal Pra. Una condanna per intestazione fittizia a prestanome, certo non leggera – due anni di pena – comminata in base all’articolo 94 bis del codice della strada.
Il fenomeno delle «auto fantasma» ha ben poco di pittoresco. Al contrario, genera diversi crimini. In primo luogo perché la targa perde il suo valore di strumento di indagine. Impossibile così rintracciare gli autori di un reato. Poi aumenta l’insicurezza in strada. Gli utilizzatori delle auto fantasma, sapendo di potersi muovere anonimamente, guidano in maniera più spregiudicata. Gli incidenti con auto non assicurate – in costante aumento – non solo penalizzano le vittime ma scaricano sulla collettività (attraverso il fondo di garanzia per i risarcimenti) i costi dei danneggiamenti. Infine c’è anche il danno per gli enti locali, che da una parte non possono incassare le multe prese dalle auto-fantasma e dall’altra devono spendere una marea di denaro (dieci euro per ogni notifica) nel tentativo di riscuotere le sanzioni. Il Corriere menziona il caso di un prestanome beccato a Monza, che aveva 700 mila euro di debito con l’erario.
Dopo il giro di vite della Procura, gli inquirenti si concentrano sui prestanome seriali di centinaia di automobili ai quali contestano il reato di «falso in atto pubblico con induzione in errore del pubblico ufficiale». Si tratta spesso di partite Iva di presunti operatori nel campo delle compravendite di auto. I quali però, non a caso, vendono poco o nulla e acquistano soltanto. Un’attività paradossalmente favorita dalla normativa che permette passaggi semplificati di proprietà tra i commercianti di questo settore senza il pagamento dell’imposta provinciale di trascrizione.
Ai conducenti, come detto, viene invece contestato il reato di «ricettazione» nel caso in cui non sappiano spiegare perché stanno guidando un’auto radiata dal Pra perché fittiziamente intestata a qualcuno che magari neanche conoscono.
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