L’azienda di riscossione intascava i tributi senza ridarli ai Comuni creditori. È accaduto in provincia di Pescara
Un’azienda di riscossione della provincia di Pescara, indagata dalla Guardia di Finanza di Popoli (Pescara), ha ricevuto una condanna dai magistrati per danno erariale.
Nello specifico, la società avrebbe intascato regolarmente i tributi versati dai cittadini senza restituirli alle casse erariali dei Comuni creditori. L’azienda era riuscita ad aggiudicarsi l’appalto per il servizio di recupero dei tributi locali evasi, fornendo falsi documenti e accumulando così migliaia di euro, operando per un periodo di tempo anche in difetto di licenza autorizzativa.
Già condannata per i reati di peculato e falso due anni fa dal Tribunale di Pescara, si aggiunge ora il verdetto della Sezione Giurisdizionale per la Regione Abruzzo della Corte dei Conti, che impone l’obbligo di pagare l’ingente danno erariale creato ai Comuni locali, destinatari delle imposte riscosse.
In merito alla responsabilità amministrativa per danno erariale, i magistrati contabili hanno ritenuto valido l’impianto probatorio messo insieme nel 2015 dalla Guardia di Finanza di Popoli. I finanzieri infatti hanno raccolto elementi tramite intercettazioni telefoniche, pedinamenti, inchieste finanziarie, sequestri e anche tramite perquisizioni.
Dall’inchiesta è emerso un meccanismo di frode assai complesso e già provato nella regione Lazio, dove la stessa azienda aveva già creato un buco di 2,4 milioni di euro circa. A cadere nella trappola anche diversi altri Comuni della provincia di Pescara, tra cui Turrivalignani, Popoli e Lettomanoppello, i cui amministratori avevano sporto denuncia per non aver percepito i canoni per servizio idrico, consumi energia elettrica, affitti di alloggi del Comune.
Tra i trucchi usati dalla società, spicca quello della cosiddetta “pratica ancora aperta“. Nonostante avessero riscosso la somma dovuta, i truffatori facevano risultare ulteriori falsi debiti, in modo che il riversamento restasse in sospeso fino alla riscossione definitiva dell’importo che in realtà era già occorsa.
Un altro escamotage usato dai responsabili era quello della “compensazione”, favorito dall’assenza di controlli del Comune sull’operato della società di riscossione. Nel rendiconto, infatti, i tributi da restituire alla casse erariali erano azzerati da crediti fittizi vantati nei confronti dell’Ente, provati con fatture già pagate e fatture totalmente false.
Tuttavia, l’incasso accumulato non restava per molto nelle casse della società di riscossione, poiché ripetutamente prelevato in contanti, o posto su carte di credito. Ora per rimettere in pari la voragine finanziaria e rimborsare i Comuni, la Corte dei Conti ha condannato la società a pagare un conto molto salato.