Alessio e Simone furono investiti da un’auto lanciata a tutta velocità. Alla guida c’era il figlio di un capomafia.
La Cassazione ha annullato la sentenza di condanna e ordinato un nuovo processo. Così l’uomo è uscito dal carcere. Per la rabbia dei genitori, che chiedono giustizia.
“Siamo distrutti, ma che giustizia è questa? È uno schifo. Si chiama ‘ingiustizia’, non giustizia. A meno di un mese dai tre anni dalla morte di Alessio e Simone, chi li ha investiti quella notte riducendoli a poltiglia, è fuori dal carcere. Solo noi, noi genitori, abbiamo l’ergastolo“. Sono le parole, piene di amarezza e rabbia, confidate all’Agi da Alessandro e Tony D’Antonio, i papà di Alessio e Simone, i due cuginetti di 11 e 12 anni morti l’11 luglio del 2019 a Vittoria, nel Ragusano.
Quella maledetta sera i due bambini erano seduti sullo scalino della porta di casa. Nulla lasciava presagire il dramma che li avrebbe colpiti. Un dramma che si materializzò quando un’auto, lanciata a tutta velocità nei vicoli, li travolse spazzando via le loro vite.
Al volante della macchina c’era Rosario Greco, figlio del boss Emanuele. Gli altri tre passeggeri (tra i quali un altro figlio di boss, Angelo Ventura) se la diedero a gambe. Lo scorso mese di marzo la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d’appello di condanna a nove anni di carcere per Rosario Greco.
Annullata la sentenza di condanna e processo da rifare dunque. E nel frattempo Greco è stato messo agli arresti domiciliari. Uscendo in questo modo dal carcere. Una decisione che ha fatto ammutolire i genitori di Alessio e Simone. “È incredibile. Siamo senza parole – hanno commentato amaramente – Ci siamo affidati alla giustizia, non possiamo pensare che a meno di tre anni dalla strage che ci tolse i nostri figli, oggi questo delinquente sia fuori dalla galera. Non ci possiamo pensare”.
I genitori non ci stanno e chiedono giustizia: “È questa la giustizia che lo Stato italiano riconosce a noi genitori? Tre anni di carcere per aver trucidato due bambini? Chiediamo una mobilitazione civile, chiediamo ai giudici di non negarci quella giustizia in cui credevamo perché – spiegano -, altrimenti, solo la nostra condanna sarà a vita“.
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