L’aumento dei prezzi del petrolio insieme ad altri fattori sta rendendo possibile alla Russia di non subire troppi danni dalle sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dai suoi alleati.
Le sanzioni erogate dagli Stati Uniti e dagli alleati alla Russia potrebbero non sortire gli effetti dovuti: una serie di fattori, innescati proprio dalla guerra, stanno creando condizioni tali da minimizzare – anche di molto – gli effetti dell’embargo.
Petrolio, tempo ed espedienti
L’aumento del prezzo del petrolio, cresciuto del 75% in sei mesi, è il primo elemento di “disturbo” alle sanzioni. L’aumento così rilevante dei prezzi del greggio infatti va ad abbattere l’effetto della diminuzione delle esportazioni. Se, paradossalmente proprio a causa delle sanzioni, i combustibili diventeranno ancora più cari questo potrebbe limitare, o addirittura azzerare, l’effetto di un calo delle esportazioni russe. Poi c’è il fattore tempo, relativo alla gradualità nell’avvio dell’embargo: se da un lato agevola gli europei nella ricerca di fornitori alternativi, permette anche alla Russia di riorganizzarsi andando a trovare anche nuovi clienti, come ad esempio l’India. Sta già avvenendo, tra l’altro: la Cona ha aumentato la richiesta di petrolio russo, ed insieme a lei altri paesi dei tanti che non hanno voluto applicare sanzioni a Mosca. Infine non bisogna trascurare la possibilità di aggirare con furbizia sanzioni: esistono vari espedienti non facili da contrastare, collaudati recentemente anche da Iran e Venezuela, che la Russia ha iniziato a replicare prima ancora dell’avvio dell’embargo Ue. Le sue petroliere, ad esempio, si stanno rendendo invisibili spegnendo il “transponder” e il greggio viene mescolato a barili di altra origine con trasferimenti “da nave a nave” in alto mare.
Chi ci rimette davvero? L’avvertimento del FMI
Sulla base di tutto questo – e non sono ipotesi giornalistiche, alcune delle situazioni descritte sta già avvenendo – sorge spontanea la domanda: chi ci rimette davvero? La Russia che deve semplicemente cambiare clientela o chi importava petrolio russo e che adesso si trova costretta, in emergenza, a rivolgersi ad altri fornitori? L’Italia, che è tra i più “fedeli” alleati degli Stati Uniti, è anche tra quei paesi che secondo autorevoli fonti potrebbero soffrire di più le conseguenze della guerra e delle sanzioni. Ad esempio il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha recentemente affermato che a guerra in Ucraina “avrà severe conseguenze economiche per l’Europa, avendo colpito quando la ripresa dalla pandemia era ancora incompleta”, aggiungendo che negli ultimi mesi “sono emersi nuovi rischi”. “Quello più preoccupante – sostengono gli analisti del FMI – è un repentino stop dei flussi di energia dalla Russia, che causerebbe significative perdite per molte economie. Per alcune delle più grandi economie europee come Francia, Germania, Regno Unito e Italia” è prevista “una crescita trimestrale molto debole o negativa alla metà del 2022”. Insomma, bene l’atlantismo, bene l’essere fedeli membri della NATO, bene l’alleanza con gli Stati Uniti, ma forse una riflessione su quel che è veramente il bene degli italiani qualcuno dovrebbe farla.