Dopo la spaventosa strage sono diventate “virali” autentiche fake news sull’assassino, sui poliziotti e sulle vittime del massacro.
Un copione già visto all’opera. Dieci anni fa, dopo il massacro nella scuola elementare Sandy Hook, a Newtown.
Subito dopo il massacro di Uvalde (21 morti, tra cui 19 bambini, uccisi dal diciottenne Salvador Ramos) è partita anche una sconcertante competizione a suon di bufale e fake news sul killer. In particolare sui siti di estrema destra, come 4chan. È lì, oltre che su Telegram, che qualche ora dopo l’eccidio circolava già la falsa voce che lo stragista diciottenne fosse un «transgender». E via con le foto, altrettanto false, di un ragazzo in abiti da donna. Immagini rubate a un utente di Instagram. Poi è toccato ai Proud Boys, i separatisti bianchi protagonisti dell’assalto a Capitol Hill che sulle loro chat hanno bollato la sparatoria come «risultato della terapia ormonale».
A completare l’opera ha pensato infine un repubblicano dell’Arizona Paul Gosar. Che ha aggiunto un pizzico di antimmigrazionismo alla già ricca insalata di voci sull’assassino: «È un transessuale, straniero clandestino di sinistra di nome Salvador Ramos. Il genere di spazzatura che piace a voi». Così in un tweet, poi rimosso. Una diceria rilanciata anche da altri gruppi di destra, per i quali Ramos era un immigrato senza documenti. Anche dopo che il senatore texano Roland Gutierrez ha confermato che il diciottenne era nato in Nord Dakota.
Accadde lo stesso dieci anni fa, con un’altra strage: quella avvenuta nel 2012 alla scuola elementare Sandy Hook di Newtown, in Connecticut. Un massacro ad opera del ventenne Adam Lanza. A morire furono 27 persone, 20 tra loro erano bambini tra i sei e sette anni di età.
Sono molte le analogie tra i due eccidi: dalla scuola elementare alla tenera età dei bimbi uccisi, per non parlare della giovane età dello stragista e ex allievo. E ora si è aggiunta anche un’altra drammatica somiglianza: le fake news e le ipotesi di complotto sull’accaduto.
Nel 2012 Telegram ancora non c’era. Ma Facebook sì. Tuto iniziò da un gruppo chiuso frequentato da un pugno di persone. Che cominciarono a chiedersi se la strage fosse reale o progettata a tavolino dal governo federale, dallo stato. C’è stato chi cercava di dimostrare, confrontando le foto dei bimbi uccisi con quelle di altri incontrati in giro, che le vittime fossero ancora in vita. O chi diceva di averli visti ai loro funerali. Come capitò a Lenny Pozner e a sua moglie, i genitori di Noah, un bimbo di sei anni morto nel massacro. Furono accusati di essere attori, di aver simulato il pianto davanti alle telecamere. Per dimostrare che il figlioletto era morto per davvero dovettero pubblicare il referto ospedaliero. «Ma più cercavo di spiegare la verità, e più i complottisti mi attaccavano», ricorda Pozner. Alla fine, raggiunti da un mare di minacce, i due hanno dovuto trasferirsi.
A Uvalde la storia si ripete. Oltre alle leggende sul killer trans c’è chi afferma che la sparatoria sia stata un diversivo, un’arma di distrazione di massa per distogliere le forze dell’ordine dal presidio sul confine col Messico. Permettendo così a narcotrafficanti e criminali di attraversare la frontiera. Anche in questo caso c’è chi ha ipotizzato che i genitori dei bimbi uccisi siano attori che recitano una parte. Non li hanno visti abbastanza disperati, dicono. Ma viene da chiedersi chi sia davvero il disperato…
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