Secondo il virologo Pasquale Ferrante è improbabile che il Monkeypox sia mutato. Si tratta di un virus differente dal Covid.
Al contrario, siamo in presenza di un virus piuttosto stabile, che difficilmente va incontro a mutazioni.
L’Oms parla di “casi anomali“. Così vengono definite le infezioni da vaiolo delle scimmie, con casi in aumento in diversi paesi. C’è chi ritiene possibile che il virus sia mutato, magari diventando più trasmissibile da uomo a uomo. Di diverso avviso il virologo Pasquale Ferrante, professore alla Temple University di Philadelphia negli Usa, direttore sanitario e scientifico dell’Istituto clinico Città Studi di Milano. “Prima di ipotizzare cambiamenti nel genoma del virus e nelle sue molecole di superficie, direi che bisogna aspettare, e molto“, avverte lo scienziato in un’intervista all’Adnkronos Salute. A confermarlo, infatti, ci sono le prime analisi dello Spallanzani di Roma sulle sequenze virali dei pazienti italiani. Dalle quali emerge che finora i virus sono “tutti risultati affini al ceppo dell’Africa Occidentale”.
La ragione principale per cui occorre prudenza, afferma Ferrante, è il fatto che “il virus del ‘monkeypox’, così come quello del vaiolo umano, è un virus a Dna a doppia elica, fra l’altro molto grosso per dimensioni”, spiega il virologo. Che ricorda come “all’epoca del vaiolo il virus lo si poteva quasi osservare al microscopio ottico, per quanto era grande la particella”.
Un virus piuttosto stabile
Una peculiarità questa che “significa qualcosa anche da un punto di vista biologico: vuol dire stabilità. Essendo un virus a Dna a doppia elica, per di più appunto di dimensioni ragguardevoli – continua Ferrante – quello del vaiolo delle scimmie, come anche gli herpesvirus tra cui la varicella, è uno di quei virus che non va facilmente incontro a mutazioni, ma che anzi si sono dimostrati finora assolutamente stabili. Al contrario dei coronavirus come il Sars-CoV-2 di Covid-19, virus a Rna inclini a mutare“.
Questo per la mancanza di “correttori di bozze”. Cioè quei meccanismi che nel corso della replicazione contribuiscono a limitare il rischio degli errori casuali da cui traggono origine le varianti.