Peste suina, veterinari: “In Italia di fatto c’è già lockdown dei maiali”

In Italia il “lockdown dei maiali” proposto da una nota virologa di fatto è già attuato negli allevamenti.

Lo spiega il presidente dei veterinari italiani. Che però avverte: è fondamentale monitorare la situazione.

“Il termine lockdown richiama l’attenzione ma nel caso della peste suina in Italia è usato a sproposito perché gli allevamenti dei suini sono già allertati rispetto ai rischi del virus, ogni azienda ha alzato il livello di biosicurezza con misure di controllo che impediscono l’entrata del virus in un allevamento zootecnico. Diciamo che oggi nelle zone dove è stato registrato un focolaio, di fatto ogni allevamento è un”isola’ che non deve essere invasa da nessun tipo di fattore di rischio“. È quanto spiega all’Adnkronos Salute Aldo Grasselli, il presidente onorario della Società italiana di Medicina veterinaria preventiva (SimeVep).

Il commento di Grasselli arriva dopo la proposta della virologa Ilaria Capua che ha sostenuto che se il virus “entrasse nel settore suinicolo, saremmo costretti a misure come il lockdown degli animali e ad un blocco dell’export dei prodotti“.

SimeVep: fondamentale monitorare la situazione epidemiologica

Aldo Grasselli, presidente onorario della Società italiana di Medicina veterinaria preventiva (SimeVep)- Meteoweek

Allo stato attuale delle cose, dice Grasselli, la situazione appare sotto controllo ma non bisogna abbassare la guardia. “Al momento la situazione è sotto controllo dove sappiamo esistere i focolai e dove sono stati trovati animali selvatici positivi”, afferma il presidente onorario della SimeVep. Ma è altrettanto vero, aggiunge, che non abbiamo certezza che su tutto l’appennino dalla Liguria fino alle Marche, questo virus non possa scendere a valle e arrivare negli allevamenti suini della pianura”.

Per questo motivo, continua, “è fondamentale una sorveglianza epidemiologica, il monitoraggio dei cinghiali intercettati o trovati morti”. La speranza, spiega l’esperto, è che i focolaisiano legati all’introduzione dall’estero, o per commerci fraudolenti o più verosimilmente per abitudini alimentari soprattutto legati all’Est Europa, di salumi non a norma che poi buttati nei cassonetti dei rifiuti sono stati poi intercettati dai cinghiali”, conclude Grasselli.

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