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Politica

Trent’anni fa la strage di Capaci, poi i depistaggi e le zone d’ombra di una pagina oscura della storia italiana

Sono passati trent’anni dai due eccidi di Capaci e di via D’Amelio. Ancora è lontana la verità su una vicenda inquietante e oscura.

Gli attentati contro i giudici Falcone e Borsellino sono ancora oggetto di ricerche, processi e indagini.

Paolo Borsellino e Giovanni Falcone – Meteoweek

Era il 23 maggio del 1992, esattamente trent’anni fa. Alle 17:58 il giudice Giovanni Falcone, candidato alla carica di procuratore nazionale antimafia, viene ucciso da una spaventosa esplosione sull’autostrada Trapani-Palermo, vicino a Capaci. Circa 500 chili di tritolo lo spazzano via assieme alla moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato. Nella strage muoiono anche gli uomini della scorta.

Passa poco più di un mese dopo il giudice Paolo Borsellino denuncia la costante opposizione, all’interno di consistenti settori delle istituzioni, al metodo e al lavoro di Falcone. Il 19 luglio 1992, cinquantasette giorni dopo il collega e amico Falcone, tocca anche a lui. Cento chili di tritolo esplodono in via D’Amelio, nel cuore di Palermo, dove vivevano la madre e la sorella del magistrato. Borsellino muore a 52 anni assieme a cinque agenti della scorta.

Il processo Stato-Mafia: gli scenari inediti e la sentenza d’appello

Due attentati che hanno segnato la storia e la memoria italiana. Avvolti però in un contesto d’incapacità e complicità ben oltre il livello della mafia. Un quadro, cristallizzato in una sentenza, di “colossale depistaggio”. Sono molte, a distanza di 30 anni, le zone d’ombra di quella vicenda oscura.

La sentenza di primo grado del processo Stato-mafia aveva dato forza propulsiva a nuove inchieste a Caltanissetta sulle stragi. Condannati boss, ex alti ufficiali del Ros (Mario Mori) e politici (Marcello Dell’Utri). Sotto processo tre poliziotti con l’accusa di depistaggio. Il 23 settembre 2021 però il verdetto viene ribaltato. La Corte d’assise d’appello di Palermo assolve il senatore Marcello Dell’Utri e gli ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno.

Leggera riduzione di pena (a 27 anni) per il boss Leoluca Bagarella; confermati invece i 12 anni al medico Antonino Cinà, vicinissimo a Bernardo Provenzano. Dovevano rispondere del reato di minaccia a un corpo politico. Non fu reato la trattativa, intesa come dialogo per portare alla fine della stagione delle bombe e degli attentati, senza però alcuna concessione da parte dello Stato.

Il Borsellino quater

Il 5 ottobre scorso la Cassazione ha confermato in vita definitiva il verdetto emesso nel novembre 2019 dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta  nel processo Borsellino quater. I giudici d’appello. dal canto loro, avevano fatto proprie le conclusioni della sentenza di primo grado dove si sosteneva che nelle indagini sulla strage di via D’Amelio si consumò uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana“.

Nel luglio 2020 si è chiuso invece a Caltanissetta, in Corte d’Assise d’Appello, il Falcone bis. Condanne per i boss Salvo Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro, Lorenzo Tinnirello. Assoluzione, come in primo grado, per Vittorio Tutino. Il prossimo 14 giugno si andrà in Cassazione.

Secondo l’accusa Madonia, boss palermitano di Cosa nostra, è stato uno dei mandanti della strage di Capaci, mentre gli altri avrebbero preso parte all’esecuzione dell’attentato al giudice. Alcuni pentiti, durante il processo, hanno reso noto il progetto di uccidere, oltre a Falcone, anche Maurizio Costanzo, Michele Santoro e Pippo Baudo. Lo scopo delle eliminazioni doveva essere quello di distogliere l’attenzione dalla Sicilia e creare caos e allarme in centro Italia. Il piano stava per essere attuato ma arrivò l’ordine di sospenderlo e tornare in Sicilia.

I depistaggi di via D’Amelio: poliziotti alla sbarra

Sta per giungere alla conclusione il processo di primo grado sull’ipotesi di depistaggio delle indagini successive alla strage di via d’Amelio. L’11 maggio scorso è stata chiesta la condanna per i tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia aggravata per aver favorito Cosa nostra. Archiviata da tempo a Messina, invece, l’indagine a carico di alcuni magistrati sulla presunta manipolazione del falso pentito Vincenzo Scarantino.

Il 22 giugno è fissata a Caltanissetta l’udienza del processo in Corte d’Assise d’Appello. Sul banco degli imputati il boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, il superlatitante accusato di essere uno dei mandanti delle uccisioni di Falcone e Borsellino. Messina Denaro, ritenuto “l’ultimo padrino”, è già stato condannato in primo grado all’ergastolo nell’ottobre 2020. A capo della mafia di Trapani, è ricercato dal 1993. È considerato uno dei responsabili della linea stragista di Cosa nostra. A imporla furono i corleonesi di Totò Riina, assieme al quale Messina Denaro avrebbe progettato negli anni Novanta l’attacco alle istituzioni.

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