Sono le parole del legale della famiglia di Paolo Borsellino a proposito di quello che qualcuno ha definito il “più grande depistaggio della storia italiana”.
Un depistaggio cominciato praticamente subito con la sparizione della famosa “agenda rossa” del giudice ucciso dai mafiosi.
“Il colloquio investigativo è stato stuprato per consentire pressioni al collaboratore Vincenzo Scarantino“. Cioè il pentito che sarebbe stato minacciato e pressato per accusare persone estranee all’uccisione di Paolo Borsellino.
A dirlo è l’avvocato Fabio Trizzino nel proseguire l’arringa difensiva al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio, dove morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. “Bruno Contrada (l’ex agente segreto poi arrestato per mafia; ndr) ci ha fornito una descrizione chiara. Ci ha parlato durante la sua deposizione in aula di un processo di passaggio di informazioni tra la Squadra mobile e il Sisde”.
Si trattava, continua il legale della famiglia Borsellino nonché genero del magistrato ucciso dalla mafia, di “un adempimento formale rispetto al compito che era stato assegnato. Il capocentro del Sisde, che nulla sapeva di Palermo, si rivolge alla locale Squadra mobile che passa le veline”.
“Il depistaggio – dice l’avvocato Trizzino – è iniziato subito con la sottrazione dell’agenda rossa. Il dottor Contrada viene preso perché è l’unico elemento a Roma di avere cognizione delle vicende siciliane. La procura di Caltanissetta all’epoca era composta da un procuratore che si occupava di materia ordinaria e i magistrati che erano qui a Caltanissetta non conoscevano le dinamiche di Palermo e quindi dipendevano dalle relazioni che giungevano da Palermo”.