In una intervista il dissidente russo Pavel Broska racconta la sua esperienza come giornalista indipendente.
Dopo la censura e il licenziamento sono arrivate anche le torture. Adesso è fuggito dal suo paese e si è rifugiato in Italia.
Pavel Broska ha 39 anni. È un giornalista russo. Da pochi giorni è fuggito dal suo paese. Adesso si trova in provincia di Brescia, con moglie e figlia, dove chiederà l’asilo politico.
Intervistato dall’AGI, racconta la sua esperienza di giornalista dissidente e le torture che ha dovuto subire. In Russia, spiega, lavorava come giornalista radiofonico. Presentava un programma sulle corse automobilistiche. Nel 2014 è stato corrispondente di guerra nel Donbass. “Ma quel lavoro – racconta – mi è stato tolto perché ho scritto solo quello che vedevo coi miei occhi”. A quel punto ha pensato di creare una sua stazione radio a Donetsk, ma anche quella è stata censurata.
Successivamente è passato, come caporedattore, al canale ‘Crimea 24’. Ma anche in quel caso ha dovuto lasciare l’incarico per essersi mostrato poco malleabile. C’è poi la parte più cruenta della sua storia. Che riguarda anche l’Italia.
Broska aveva scritto un articolo sul milione di mascherine promesse all’Italia dal direttore del Centro di cultura e lingua Italiana di Sebastopoli. Che però – aveva denunciato – non erano mai giunte a destinazione. È stato allora che il suo capo lo ha chiamato per chiedergli la rimozione dell’articolo perché nella faccenda erano coinvolti dei “grossi papaveri”. A quel punto, spiega, “mi sono rifiutato”. Ma non era finita: “Poi sono stato licenziato e dopo un po’ sono stato sequestrato fuori da casa mia per essere interrogato. Per tre giorni sono stato legato in uno scantinato a dieci gradi mentre mi gettavano addosso acqua fredda e calda a intermittenza”.
Sulla mancata consegna del carico umanitario all’Italia, ha un’idea precisa: “È stata un’operazione di disinformazione creata dal Cremlino attraverso alcuni apparati di intelligence in Crimea”. Brovska parla anche dello stato dell’informazione in Russia. E osserva che “la censura c’è sempre stata, ma non così dura. Ora siamo quasi al livello del regime sovietico. Adesso in Russia essere cronista significa scrivere e dire quello che ti viene detto, non quello che vedi”.
Da qui la decisione di fuggire e venire in Italia, che considera un paese “sicuro” dove “c’è libertà di parola”. Qui c’è un suo amico, l’avvocato Alexandro Maria Tirelli, presidente delle Camere Penali Internazionali. Proprio alle Camere Penali Internazionali, racconta Brovska, deve la sua vita per averlo aiutato a venire in Italia. Già in precedenza del resto “si occuparono della storia, mentre conducevo la mia indagine giornalistica”.
Adesso è preoccupato, più che per sé, per la sua famiglia. Il suo obiettivo ora è “creare un sito per i residenti di lingua russa in Europa e, soprattutto, per far arrivare ai cittadini russi attraverso il web una voce libera, un’analisi critica e il racconto della verità”.
Nel mondo dell’automobilismo durante il corso di questi anni sono state introdotte una serie di…
Chi vuole effettuare compravendita e locazione di immobili nella città di Palermo deve, per prima…
Il Torino di mister Vanoli è partito molto bene in Serie A e, nonostante le…
Dai fasti degli anni '90 e dei primi 2000 sembra passata un'eternità. Ormai da più…
Quali sono le aziende che garantiscono il miglior servizio per la luce e il gas…
Anticipazioni sulle prossime puntate della soap di Rai Uno Il Paradiso delle Signore 9: crisi…