Una notizia che da un lato consola, dall’altra preoccupa: il lupo è tornato prepotentemente a popolare molte aree della penisola. Ma ci sono delle conseguenze.
C’è una causa, e poi c’è un effetto. Come in tutte le cose della vita: dalla politica alle relazioni internazionali, dall’economia ai rapporti sociali. In natura, poi, questo rapporto è ancora più diretto ed evidente, mancando spesso il “filtro” dell’attività umana. Nella storia dei lupi che tornano a popolare l’Italia, in realtà, la mano dell’uomo c’è: prima nel mettere in pericolo la specie, poi nell’essere costretti a procedere alle politiche di ripopolamento.
Ora bisogna salvare il bestiame
Ma l’equilibrio della natura molto spesso è sottile, e dunque ora si rischia un ulteriore squilibrio: la priorità, adesso, è quella di salvare le migliaia di pecore e capre sbranate, mucche sgozzate e asinelli uccisi lungo tutta la Penisola dove la presenza del lupo si è moltiplicata negli ultimi anni. Stragi ripetute negli allevamenti che hanno costretto alla chiusura delle attività e all’abbandono della montagna. Lo afferma la Coldiretti in riferimento al forte aumento, lungo tutta la penisola italiana, della popolazione di lupi: secondo la stima dell’Ispra nell’ambito del progetto Life WolfAlps EU si registrano circa 3.300 esemplari, 950 nelle regioni alpine e quasi 2.400 lungo il resto della penisola. “I numeri sembrano confermare che il lupo ormai, non e’ piu’ in pericolo – spiega la Coldiretti – e impegnano le Istituzioni a definire un Piano nazionale che guardi a quello che hanno fatto altri Paesi UE come Francia e Svizzera per la difesa dal lupo degli agricoltori e degli animali allevati”. Il rischio vero oggi è, denuncia la Coldiretti, “la scomparsa della presenza dell’uomo delle montagne e delle aree interne per l’abbandono di migliaia di famiglie ma anche di tanti giovani che faticosamente sono tornati per ripristinare la biodiversità perduta con il recupero delle storiche razze italiane di mucche, capre e pecore”.
Un problema che andava gestito prima
Lo studio di Coldiretti ha infatti documentato l’impatto del lupo sulle attività zootecniche in Italia attraverso l’analisi dei danni che si sono verificati nel periodo 2015-2019: un report che è stato trasmesso a tutte le regioni per un’ulteriore verifica dei dati e che verrà pubblicato nelle prossime settimane. Un argomento che non è stato affrontato nei giusti tempi, spiega ancora Coldiretti: tale ritardo “pregiudica la soluzione del problema dopo che i risultati dell’indagine hanno fornito elementi utili ad una revisione delle politiche di conservazione. Serve responsabilità nella difesa degli allevamenti, dei pastori e allevatori che con coraggio continuano a presidiare le montagne e a garantire la bellezza del paesaggio. Senza i pascoli le montagne muoiono, l’ambiente si degrada e frane e alluvioni minacciano le città”.