Figlio con l’allievo 15enne, confermata la condanna per la prof di Prato: assolto il marito. La difesa della donna: “Era in cerca affettività – sbagliata, malata, eticamente condannabile, ma voleva essere amata”.
Confermata la sentenza di primo grado di condanna per la donna di Prato che rimase incinta ed ebbe un figlio da un ragazzo di 15 anni, a cui dava ripetizioni di inglese. Ad esprimersi la corte di appello di Firenze, che ha condannato oggi la 34enne operatrice sanitaria a 6 anni e 6 mesi, con l’accusa di atti sessuali e violenza sessuale per induzione su minore. Assolto invece il marito con formula piena. L’uomo, si ricorda, si era attribuito la paternità del bimbo.
“Vita stravolta dalla terribile vicenda vissuta”
L’udienza si è tenuta questa mattina alla corte di appello di Firenze, e la sentenza di condanna è arrivata al termine di una camera di consiglio durata circa un’ora e mezzo. Era stato chiesto un aggravio di tre mesi di condanna alla sentenza di primo grado dalla procura generale e dal sostituto Pietro Ferrante, mentre i legali difensori della coppia, Mattia Alfano e Massimo Nistri, chiedevano l’assoluzione della 34enne. Alla luce della sentenza, gli avvocati hanno già detto che provvederanno a fare ricorso in Cassazione, mentre si sono detti “contenti per il risultato di un padre che non ha fatto altro che regalare il suo amore per un neonato”. “Certamente ci aspettavamo qualcosa di più per la moglie, siamo in attesa delle motivazioni“, hanno aggiunto i legali.
Secondo quanto riferito dall’avvocato Roberta Roviello, legale di parte civile della famiglia della parte offesa, però, la donna avrebbe “di fatto sequestrato la vittima, tra l’altro figlio di una sua amica. Lo ha legato a sé e ha sperato di rimanere incinta, vero è che era delusa di un primo esito negativo del test di gravidanza e lo ha poi ripetuto a una settimana di distanza”. Inoltre, sempre secondo quanto avanzato dall’avvocato, l’allora 29enne avrebbe indotto il minore a “esperienze sessuali non confacenti alla sua età”. La vita di tutti, sia del ragazzino che della sua famiglia, è stata allora “stravolta“, tanto che i genitori si sono addirittura separati. Il bambino avuto con la donna “era e sarà un macigno” per il minore, così come lo sarà sempre tutta la ” terribile vicenda vissuta“.
Di diversa posizione, invece, è la ricostruzione offerta dei legali della donna imputata. In particolare, la ricostruzione offerta da l’avvocato Mattia Alfano in aula è stata molto esplicita: “Il pubblico ministero definisce la parte offesa come un fanciulletto imberbe, incapace di distinguere tra urina e sperma. A dire però il contrario sono gli sms tra i due, nei quali il ragazzo chiede alla mia assistita precise prestazioni, di indossare perizoma, autoreggenti e tacchi. Messaggi dai quali si può anche dimostrare che la relazione sessuale ha inizio dopo il compimento dei 14 anni e non prima”. E ha incalzato ancora la difesa della donna, spiegando come l’assistita fosse in cerca di “affettività – sbagliata, malata, eticamente condannabile”, perché “voleva essere amata”. La donna, inoltre, ad oggi si sarebbe già “sottoposta volontariamente a un supporto psicologico e si sta facendo curare”.