La nuova inchiesta della giornalista di Vanity Fair conferma come non tutti gli scienziati americani hanno creduto alla versione del governo americano sull’origine del virus
Una nuova inchiesta, uscita il 31 Marzo 2022, da Katherine Eban, giornalista e collaboratrice di Vanity Fair, si è occupata di analizzare oltre diecimila documenti che riguardano in modo diretto la EcoHealth Alliance. Un nome che per molte persone è sconosciuto, ma che in realtà rappresenta una vera chiave di volta nella comprensione storica dell’origine del coronavirus. L’inchiesta della Eban ha infatti avuto modo di approfondire verità già conosciute, ma che adesso trovano una forma compiuta, permettendo ad esempio di scandagliare al meglio i finanziamenti che il National Institutes of Health elargiva a dei progetti di ricerca biologica non convenzionali.
Un ruolo centrale nelle indagini di Eban lo ha avuto Jesse D. Bloom, virologo e biologo che lavora presso il Fred Hutchinson Cancer Research Center.
La storia raccontata da Eban inizia il 18 Giugno del 2021, quando Bloom decide di scrivere una lettera ad Anthony Fauci e Francis Collins, direttore del National Institutes of Health. Bloom infatti si era interessato a studiare il Sar-Cov2 in modo più approfondito, dopo aver notato che alcune sequenze genomiche del virus, pubblicate nei primi articoli che arrivavano dalla Cina, erano di colpo scomparse. Un problema non da poco, in quanto come scrive Bloom a Collins, “le sequenze, che mappano i nucleotidi che conferiscono a un virus la sua identità genetica unica, sono fondamentali per tracciare quando il virus è emerso e come potrebbe essersi evoluto”. Il sospetto avanzato dallo scienziato era dunque quello che il governo di Pechino stesse nascondendo la verità circa l’origine di questo coronavirus. Ma il problema era più profondo e Bloom aveva scoperto che questa censura non arriva soltanto da Oriente: anche NIH aveva cancellato queste sequenze dagli archivi su richiesta del laboratorio di Wuhan. Bloom a quel punto scrive sia a Fauci che Collins per chiedere aiuto.
L’inchiesta della Eban ha riguardato la EcoHealth Alliance diretta da Peter Daszak, uno dei massimi esperti al mondo sul coronavirus. Daszak fin dall’inizio aveva sostenuto con intransigenza l’assoluta origine artificiale del coronavirus, scrivendo nel febbraio del 2020 un articolo sulla rivista scientifica the Lancet, in cui denigrava tutti coloro che continuavano a supportare l’ipotesi di un’origine artificiale.
Eppure, come abbiamo scoperto in seguito grazie alla divulgazione degli atti secretati da parte di Project Veritas, Daszak intratteneva dei rapporti con il governo americano. La sua EcoHealth Alliance aveva infatti presentato alcuni anni fa alla Darpa un progetto scientifico il cui scopo era quello di modificare dei coronavirus e osservarne gli effetti sui pipistrelli. Un’iniziativa che presentava alcune problematiche dal punto di vista etico, in quanto si configurava come una ricerca in grado di produrre una vera e propria arma biologica, E questa era anche l’opinione dell’ufficiale della marina americana Joseph Murphy che si era occupata di analizzare per conto della Darpa la proposta di Daszak. Il militare nel suo report aveva evidenziato come lo scienziato nel presentare il suo progetto, non si fosse preoccupato in alcun modo di fare presente i rischi di questa sperimentazione.
Secondo i giornalisti di Project Veritas, già solo questa corrispondenza dimostra come il governo americano fosse a conoscenza di queste ricerche sulle armi biologiche. Anche perchè il progetto della EcoHealth Alliance venne in seguito autorizzato dalla Darpa, a patto che però si svolgesse all’infuori del territorio americano. La legge statunitense non permette infatti che possano essere condotti degli esperimenti di gain of function.