Le avevano detto che la malattia non le avrebbe dato gravi problemi per 20 anni e invece pochi mesi dopo aveva già una grave invalidità. Il giudice ha obbligato la dottoressa a un cospicuo risarcimento per la paziente.
Se le fosse stata diagnosticata prima la malattia, non avrebbe perso gran parte delle sue abilità motorie e non sarebbe stata costretta all’uso della carrozzina e dell’assistenza continua. E’ quanto stabilito dai giudici del tribunale di Milano per una donna afflitta da questa pesante malattia, condannando il medico a un cospicuo risarcimento.
E’ il primo caso del genere nella giurisprudenza italiana, il tribunale ha quindi sancito “un danno certo, consistente nella anticipata perdita delle condizioni psicofisiche di cui la paziente avrebbe potuto godere per un certo intervallo temporale con l’effetto di rallentare i tempi di progressivo naturale avanzare della patologia“. Il risarcimento è stato stabilito in 830mila euro.
Nel 2012 una donna di 25 anni con problemi di ipersensibilità sul lato sinistra si reca dalla sua dottoressa per una visita neurologica. Le viene diagnosticata la sclerosi multipla con possibilità di peggioramento a partire da circa 20 anni. Purtroppo però l’invalidità inizia molto prima, intorno al 2014 e arriva all’80% già nel 2018. Se avesse iniziato la cure prima la qualità della sua vita sarebbe stata nettamente migliore.
“La mia sola speranza è che casi come il mio possano uno dopo l’altro non far perire mai la scintilla del dubbio in qualunque persona si fregi del titolo di dottore. Il dubbio è umano, e se nell’esercitare la nostra professione, qualunque essa sia, cominciamo a trascurarlo, beh quella non può più dirsi una professione di cura” ha commentato la paziente in questione.
Alla dottoressa è stato addebitato un “colpevole ritardo diagnostico nell’aver omesso di avviare la 25enne paziente a visita e esami neurologici, scelta operata dal medico di base perché qualsiasi ulteriore indagine diagnostica le appariva al momento inopportuna, addirittura per dubbia simulazione“.
Ma questo ha prodotto “28 mesi di ritardo diagnostico, periodo sottratto alle migliori terapie praticabili, hanno caratterizzato un davvero molto più precoce “salto” di gravità del carico di lesioni portate dalla patologia, facendo precorrere i tempi della perdita di autonomia motoria e della disabilità che altrimenti sarebbero intervenute con una latenza quantomeno di un decennio, fino a 20 anni“. Insomma l’invalidità sarebbe rimasta attorno al 15% “almeno per un decennio“, in questo modo invece è salita all’80% impedendole così una vita più serena.
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