Il nuovo incontro con Biden serve soltanto a confermare l’unità d’intenti tra Italia e Usa nella guerra contro Putin.
Arriva nella giornata di oggi , martedì 10 Maggio 2022, un nuovo incontro il Presidente Usa Biden e Mario Draghi. Un vertice fondamentale per rinforzare l’asse atlantico sul nuovo invio di armi congiunto che l’occidente si appresta a varare in favore dell’Ucraina. Biden continua a cavalcare una linea di assoluta intransigenza nei confronti di Mosca, e in tal senso va letta l’approvazione di una nuova legge che permette di velocizzare un nuovo invio di armi a Kiev.
Ha fatto storcere il naso ad alcuni che quella utilizzata dal Presidente Usa sia stata una norma varata nel 1941 contro Hitler, segno che la retorica statunitense, che vede nel capo della federazione russa il vero erede del nazismo, va molto oltre i discorsi pubblici della Casa Bianca. D’altronde, Biden non perde occasione per attaccare duramente la Russia, colpevole, come ha spiegato nella conferenza stampa con cui ha ufficializzato il nuovo invio rapido di armi, di aver dato inizio ad un’insensata distruzione dell’Ucraina. Per questo, la linea occidentale sembra ormai quella di aiutare Zelensky ad arrivare alla vittoria, evitando una vera resa alla guerra iniziata da Mosca. Washington continua a ripetere di giorno in giorno, che questa è l’unica soluzione percorribile e che non vi sono gli estremi per dei nuovi colloqui di pace con Putin.
Per gli Usa, rinforzare l’asse con l’Italia diventa fondamentale per continuare a “gestire” il conflitto in Ucraina
La visita di Mario Draghi serve ad allineare l’Italia alla linea Usa sul conflitto. Anche perché, adesso che l’America si è nuovamente impegnata, con una spesa importante dal punto di visto economico, ad armare nuovamente Kiev, potrebbe chiedere di fare altrettanto all’Unione Europa, aumentando così il numero di armi belliche a disposizione di Zelensky. Ma un maggiore invio di armi significa anche maggiori tensioni con Putin, che di fronte a questa aggressività potrebbe reagire in modo inaspettato. Per gli Usa in ogni caso, l’appoggio incondizionato dell’Italia resta fondamentale, e forse andrebbero guardati con sospetto certi editoriali recenti del Financial Times che elogiano Draghi come un premier di “livello superiore” rispetto ai suoi colleghi europei. Germania e Francia, in misura diversa, iniziano invece a prendere le distanze da questa politica ultra interventista. Macron, appena riconfermato alla guida della Francia, continua a sostenere la linea atlantista, ma al contempo chiede pubblicamente che la Russia non venga umiliata. Così come il governo tedesco inizia a porre sempre più dubbi circa le legittimità e la convenienza di questo scontro con la Russia, non soltanto per l’invio di armi, ma anche per il nuovo embargo economico che si vuole approvare contro Putin.
Sarebbe un errore pensare che in Russia questa guerra venga promossa soltanto da Putin
Difficile capire invece come l’opinione pubblica russa sta vivendo questo momento. Troppo poche le informazioni che arrivano, che risultano oltretutto inevitabilmente filtrate da una propaganda occidentale che, come testimonia il recente caso Orsini, ha ormai poco a che fare con la democrazia.
Non bisogna poi nemmeno fare l’errore di pensare che questa sia la crociata solitaria di Vladimir Putin contro l’Occidente, e che vi sia invece il resto della confederazione russa pronta a scendere a più miti consigli. Questa guerra a Mosca ad esempio, è fortemente caldeggiata da Medvedev, da sempre definito, in modo riduttivo e sprezzante, come un semplice delfino di Putin, quando invece è in primo luogo una figura politica ormai consolidata, ascoltata nel paese. Anche perchè alcuni analisti ritengono che in realtà i rapporti con Putin non siano più così idilliaci ormai da tempo, e che la sua nomina a vicepresidente del Consiglio di Sicurezza sia stata una sorta di “punizione” per relegarlo ad un angolo minoritario della politica russa. Eppure Medvedev è stato fin da subito riconosciuto come dei più fermi sostenitori della necessità di questa guerra, di questo conflitto con Kiev. Un’intransigenza che sembra aver sorpreso anche una parte della politica russa, che ha sempre riconosciuto nell’uomo una certa moderazione su questi temi. Segno forse, che nella nazione si è sedimentato un sentimento anti-occidentale che a partire dal 2014 ha convinto una parte della politica russa di essere ormai alle porte di una vera e propria guerra, non contro l’Ucraina in sé, ma contro l’intero asse atlantico.
Nel nostro paese, molti invece iniziano ad essere preoccupati di questo allineamento totale alla linea dettata da Biden. D’altronde, fin dal primo giorno di insediamento, Draghi ha sempre ribadito la fedeltà atlantista del suo esecutivo. Il problema semmai, come ha fatto notare in questi giorni il giurista Michele Ainis, è che questo si sta verificando, senza che il Parlamento venga chiamato in causa: “C’è una questione aperta, che riguarda il controllo delle nostre scelte militari sia da parte della pubblica opinione, sia da parte del Parlamento, che della volontà popolare dovrebbe essere megafono. È stato relegato in un angolo, com’era già successo con l’emergenza sanitaria. Invece la Costituzione stabilisce che le Camere deliberano lo stato di guerra”.