Stipendi inadeguati rispetto all’inflazione e al costo della vita, ma le aziende non vogliono aumenti e salario minimo. In Europa però la musica è totalmente diversa.
Gli stipendi dei lavoratori italiani sono fermi da troppi anni. Lo dice chiaramente il bollettino diffuso da Bankitalia che spiega come nonostante le crescita dell’inflazione abbia colpito non solo l’Italia ma tutte le nazioni europee, solo nel nostro Paese “i recenti rialzi dei prezzi non si sono riflessi sulle retribuzioni contrattuali, la cui dinamica resta contenuta”.
Anzi dai dati risulta che rispetto a circa un ventennio fa, i salari sono addirittura scesi e per circa la metà dei lavoratori è a rischio il rinnovo del contratto a tempo. A soffrire di più è il settore terziario ma nonostante la richiesta del ministro del Lavoro Andrea Orlando di un adeguamento, Confindustria si oppone all’aumento.
Non è così nel resto d’Europa, dove all’aumento incessante dell’inflazione è arrivata la risposta di aumenti di salario. L’inflazione dell’Eurozona è al 7,5% e le maggiori economie del Vecchio Continente si già adeguate anche per contenere gli aumenti dei prezzi dovuti alla guerra in Ucraina. Secondo Philip Lane, capo economista della Bce, in Europa gli aumenti medi degli stipendi sono del 3%.
GLI ADEGUAMENTI SALARIALI IN EUROPA
In Germania, per esempio, il sindacato IG Metall sta trattando con le aziende un aumento dell’8,2% dei salari per 85mila lavoratori delle acciaierie, in Danimarca il sindacato Fnv lavora per un aumento da 10 a 14 euro l’ora, in Olanda sono già stati chiusi il mese scorso salari saranno più alti del 3,3%. A Cipro e Lussemburgo invece gli aumenti non servono perché i salari sono già agganciati all’inflazione.
Discorso diverso in Francia dove sono stati introdotti tre aumenti al salario minimo per il 5,9%, mentre in Spagna il salario minimo è salito a 1.000 euro e con 14 mensilità. Anche in Portogallo, dove i salari sono più bassi, la richiesta è di alzare il minimo da 705 a 800 euro.