Durante il processo in corte d’Assise per il delitto di Serena Mollicone, la testimonianza di uno degli imputati, il vicecomandante Quatrale
La ricerca della verità sul delitto di Serena Mollicone passa da un verbale dei carabinieri che in apparenza non sembrerebbe aver significato, ma che l’accusa considera falso.
Brevi righe che sarebbero la chiave di volta per svelare il giallo del decesso della 18enne. Si tratta, nello specifico, dell’ordine di servizio numero 1 risalente al 1° giugno 2001, della cui redazione si occupò i brigadiere Santino Tuzi, e che vede chiamato in causa uno degli imputati, il vicecomandante di quel periodo Vincenzo Quatrale che lo ha co-firmato.
Quatrale è sotto accusa per concorso in omicidio col comandante Franco Mottola e la sua famiglia (il figlio Marco e la moglie Anna Maria), nonché per istigazione al suicidio del collega, sette anni più tardi.
Da quanto si apprende dall’ordine di servizio, Tuzi e Quatrale quella mattina furono impegnati in pattuglia dalle 11 alle 13:30, situazione che allontanerebbe il vicecomandante dal luogo dell’omicidio (è accusato di non aver impedito il delitto pur potendolo fare) e soprattutto demolirebbe la dichiarazione di Tuzi in cui il brigadiere sostiene di aver notato Serena fare il suo ingresso quella mattina, alle 11, nell’appartamento degli ufficiali e di non averla vista uscire per tutto il tempo in cui faceva il piantone.
Tuzi ha sempre affermato che l’ordine di servizio è falso e da quanto si legge nell’informativa finale dei militari su cui è fondato il processo, nel documento vi sono «una serie di macroscopici errori e incongruenze che lasciano pensare che il suddetto servizio non sia mai stato svolto».
«Nessun falso, solo qualche superficialità da parte di Tuzi», è la difesa di Quatrale che ha così replicato alle contestazioni del magistrato. Nell’ordine di servizio sono segnati i giri di «vigilanza agli obiettivi sensibili» e il «controllo della circolazione stradale» nei posti di blocco come da programma.
Le contestazioni sono inerenti alcuni cambiamenti a livello di calligrafia nel documento scritto a mano e le presunte incongruenze in merito agli orari degli spostamenti, riportati sempre con multipli di 5 (ad es. 12:30, 12:40 ecc.), poi corretti in determinati punti e generici quando si tratta di indicare i luoghi.
Le distanze percorse basandosi sulle suddette indicazioni non sono congruenti con gli orari segnati e almeno uno dei posti di blocco sarebbe stato eseguito in un punto che non è tra i soliti. Per l’accusa il turno di pattuglia che ha avuto inizio alle ore 7:30, è in realtà terminato un’ora dopo per via di necessità di servizio in caserma e da qui né Tuzi né Quatrale sono più andati via per tutta la mattina. Il vicecomandante ha tentato anche di sganciarsi da presunte complicità con il comandante: «Con Mottola e gli altri colleghi non c’era un rapporto di amicizia, solo professionale».
La testimonianza dell’imputato, che continuerà nella prossima udienza, in merito ad altri pilastri dell’accusa, è contestata da Maria Tuzi, figlia del brigadiere:«Mio padre non era un superficiale e se avesse commesso delle irregolarità sarebbe stato richiamato dai superiori. Facile scaricare su chi oggi non può difendersi».
Prima che fosse sentito il vicecomandante, avevano ascoltato l’ex comandante dei carabinieri del Ris, Luciano Garofano, consulente parti civili, che ha mostrato gli esiti di un modello matematico applicato ai dati dell’inchiesta: «L’ipotesi che Serena Mollicone fosse in caserma il 1 giugno del 2001 è pressoché certa, sul fatto che sia stata aggredita in caserma abbiamo la certezza al 98%, mentre per l’ipotesi che sia stata aggredita contro la porta dell’alloggio abbiamo una percentuale relativa al 95%».
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