Decapita il suo antagonista: rito per “scacciare spirito della vittima”

Un uomo aveva tagliato la testa al suo antagonista, dopo averlo assassinato, per impedire che la sua anima lo perseguitasse

Un uomo ha decapitato il suo antagonista, dopo avergli tolto la vita, perché voleva impedire che lo spirito di costui iniziasse a perseguitarlo. Il delitto era occorso a Torino. Come è emerso dal processo per il suddetto omicidio, questa potrebbe essere una possibile motivazione del gesto compiuto da Mohamed Mostafa.

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L’uomo, 25 anni, cuoco originario del Bangladesh, è stato oggi condannato al massimo della pena per il delitto del connazionale Mohamed Ibrahim. A parlarne, come chiesto dalla difesa, è stata Marzia Casolari, insegnante di storia e istituzioni asiatiche all’Università di Torino, la quale ha esposto le credenze che vi sono nei luoghi in cui è nato l’imputato.

L’uomo era stato bloccato dai poliziotti e aveva confessato l’omicidio, ma aveva detto di non ricordare di averlo decapitato. Il legale che si occupa della difesa del 25enne bengalese, Nicola Di Brita, ha spiegato che in realtà è probabile che «non lo abbia potuto raccontare perché gli spiriti sono un argomento tabù» in quelle zone.

Su questo argomento i magistrati Valentina Sellaroli e Marco Sanini non hanno continuato a insistere, asserendo: «Che si tratti o meno di una credenza animistica, l’imputato non lo ha detto. Comunque le questioni sociologiche e culturali non inficiano la valutazione della condotta: per il nostro sistema giuridico si tratta di crudeltà».

La Corte d’Assise ha scartato l’aggravante specifica ma ha dato disposizione per la trasmissione degli atti in procura affinché si avvii un procedimento per vilipendio di cadavere.

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