Omicidio Romina Vento, il compagno Carlo Fumagalli confessa: “Non sapeva nuotare, sapevo che sarebbe annegata”. Le conferme durante l’interrogatorio con il gip presso l’ospedale di Bergamo.
Non si sarebbe trattato di un incidente, ma di un omicidio volontario. Il marito di Romina Vento, affogata l’altro ieri nell’Adda, è stato interrogato dal pm in carcere nella giornata di ieri. E dal primo colloquio con Carlo Fumagalli sono emersi importanti dettagli, che hanno gettato luce su quella che potrebbe essere la pista giusta delle indagini. Arrivate poche ore fa, però, le conferme da parte dello stesso Fumagalli. Il 49enne, infatti, avrebbe confessato il delitto: sarebbe stato proprio lui ad aver causato l’annegamento della moglie.
Si è buttato perché “sapeva che sarebbe annegata”
Carlo Fumagalli è stato arrestato con l’accusa di omicidio per aver causato la morte della compagna, Romina Vento. Rispondendo alle domande dei carabinieri, ha confessato e confermato quanto accaduto quanto accaduto mercoledì 19 aprile. Dopo essere andato a prenderla a lavoro, avrebbero avuto una nuova discussione in merito alla loro storia, ormai finita. Ma l’uomo non sarebbe riuscito a sopportare la decisione della donna di troncare la relazione.
Per questo motivo, invece di riaccompagnarla a casa, Carlo ha deviato verso il fiume Adda. Puntando il piede sull’acceleratore, si è lanciato con l’auto dalla strada verso le acque, precipitando giù. Consapevole che Romina non sapeva nuotare, avrebbe dunque abbandonato la donna al suo destino – anche “accettando l’ipotesi di morire anche lui“. A spiegarlo è stato il legale dell’uomo, l’avvocato Fabio Manzari.
Carlo, però, alto un metro e novanta ed esperto nuotatore, è riuscito a tornare a riva incolume. Quando i carabinieri lo hanno fermato a Vaprio, l’uomo aveva ancora addosso i vestiti bagnati. In forte stato di agitazione, i militari hanno faticato a convincerlo a salire in auto, mentre una volta giunto in caserma a Treviglio non ha più rivolto nemmeno una parola.
Ricoverato presso l’ospedale a Bergamo, dopo aver tentato di auto-lesionarsi in carcere, ha spiegato tutto al gip che lo ha ascoltato nell’interrogatorio di convalida. L’uomo, spiega ancora il suo difensore, era già da qualche tempo in cura per problemi psichiatrici. Poco prima del delitto, però, aveva smesso di assumere i medicinali. “Da cinque settimane aveva interrotto la cura che seguiva per una patologia psichiatrica senza avvisare il medico”, racconta l’avvocato. Su questo dettaglio, però, spetta alla perizia trovare le conferme.