Assassinata e bruciata: per la prima volta considerata aggravante del femminicidio

Una donna di 32 anni fu uccisa a Castello d’Argile, in provincia di Bologna e il compagno condannato al massimo della pena:«Riconosciute le condotte di genere per riaffermare il possesso virile»

M’hamed Chamekh, 42enne originario del Marocco, condannato a 30 anni (con isolamento diurno di 4 mesi) per aver assassinato l’ex compagna, la 32enne Atika Gharib a Castello d’Argile (Bologna), secondo il verdetto della Corte d’Assise commise l’omicidio per «gelosia, possesso padronale, vendetta per la lesione dell’onore maschile».

verdetto-meteoweek.com

È questa la base su cui è stata emessa la sentenza di condanna all’ergastolo per l’uomo, circa 2 mesi fa, per il femminicidio commesso nel settembre 2019. Il 42enne è stato condannato per diversi reati, tra cui incendio doloso, distruzione del corpo, lesioni, stalking ai danni dell’ex compagna 32enne che aveva sporto denuncia contro di lui per aver molestato la figlia di 15 anni di lei.

All’interno del codice penale italiano non c’è un’aggravante per femminicidio o gelosia, ma secondo le avvocate di parte civile Rossella Mariuz e Marina Prosperi, le ragioni del verdetto, redatte dal giudice Pasquariello, stanno a rappresentare un precedente a livello di giurisprudenza di cui tener conto.

Il motivo è che il magistrato «riconosce, come avevamo chiesto in veste di parti civili, che tutte le condotte poste in essere da Chamekh, le persecuzioni, le minacce, la violenza, erano finalizzate ad annientarla, ad ucciderla e quindi a realizzare il femminicidio», spiega la legale Mariuz.

Nonostante non esista in quanto aggravante a sé, per il magistrato può essere considerata assolutamente nell’aggravante dei motivi futili e spregevoli.

Citando la Corte Suprema, aggiunge che: «la gelosia può integrare l’aggravante dei motivi abietti o futili, quando sia connotata non solo dall’abnormità dello stimolo possessivo, ma anche nei casi in cui sia espressione di spirito punitivo, innescato da reazioni emotive aberranti a comportamenti della vittima percepiti dall’agente come atti di insubordinazione».

La sentenza del giudice Pasquariello non lascia spazio a dubbi o interpretazioni, ma anzi è ben chiara:«Non si è trattato di un movente passionale, né maturato esclusivamente in sentimenti di gelosia, che alcuni più datati precedenti di legittimità escludono rientri nell’aggravante in esame». Infatti il movente del femminicidio è scaturito «per riaffermazione della volontà di possesso “virile” sulla donna».

Il difensore dell’imputato, Carlo Machirelli, ha fatto sapere che farà ricorso in Appello, a causa della quantificazione della pena, affinché si riconoscano le «gravissime patologie di cui soffre Chamek», nonostante in primo grado una perizia psichiatrica le abbia scartate, e affinché si riconosca«il reato culturalmente motivato e presi in considerazione valori culturali diversi da quelli del nostro ordinamento», anche quello escluso in primo grado.

Gestione cookie