Lo storico inviato di guerra ha avanzato dei dubbi sui fatti sanguinosi di Bucha e subito è stato iscritto nella lista dei “filo putiniani”.
E così una associazione culturale ha chiesto che gli venga tolto un premio giornalistico vinto nel 2011.
In questo mese e mezzo di guerra si sta realizzando quello che in una società che si dice liberale e democratica non dovrebbe mai accadere: la militarizzazione del dibattito, la caccia alle “quinte colonne”, la polizia del pensiero e così via.
A farne le spese, in questo caso, è stato Toni Capuozzo, 73 anni, storico inviato in tanti scenari di guerra, dalla ex Jugoslavia all’Afghanistan. Nel 2011 Capuozzo vinse il ‘Premio Ischia’, un prestigioso riconoscimento giornalistico. Ma adesso l’associazione isolana Pas Pronatura – non coinvolta nell’organizzazione del premio – chiede di ritirarglielo. La “colpa” di Capuozzo, si legge nella nota diffusa dall’associazione, sono “le gratuite e surreali dichiarazioni, sulla falsariga dei comunicati del Cremlino, rese, dall’ex vicedirettore del TG5 nella serata del 4 aprile 2022, alla trasmissione televisiva, di Rete 4, ‘Quarta Repubblica’, tese a ingenerare dubbi sulla strage di Bucha”.
Il comunicato rincara la dose stigmatizzando affermazioni che “creano imbarazzo e sconcerto per la categoria dei giornalisti e costituiscono un messaggio devastante per le giovani generazioni, che vedevano in Capuozzo un modello di riferimento di alta credibilità”.
Capuozzo: non erano frasi pro Putin, ma pro ricerca della verità
Insomma, avanzare dubbi iscrive già d’ufficio tra i propagandisti di Mosca. Capuozzo ha replicato prontamente sul suo profilo Facebook. Qui ha scritto, con una nota di umorismo: “Sono pronto a restituirlo. Datemi il tempo di ritrovarlo. DHL va bene? Chiedo solo una piccola rettifica: non erano frasi pro Putin. Pro ricerca della verità piuttosto” ha scritto Capuozzo.
Sotto il commento, in 8 mila hanno messo “like” al suo pensiero solidarizzando con lui e elogiandone le doti professionali e umane.