Citando uno studio internazionale di 12 anni fa, un blogger americano ha avanzato un’ipotesi su cui è giusto riflettere.
Igor Chudov è un blogger americano che fin dall’inizio della campagna vaccinale negli Stati Uniti, si è creato un piccolo seguito con una linea editoriale molto critica nei confronti delle scelte sanitarie attuate dal governo. Lo ha sempre fatto però richiamandosi a fatti specifici e studi scientifici già pubblicati, ed è per questo che spesso le sue riflessioni si dimostrano in grado di affrontare alcuni problemi del Covid o dei vaccini in modo concreto, senza scadere in teorie che nulla hanno a che fare con i fatti scientifici che abbiamo a disposizione.
In questi giorni, Chudov ha pubblicato un articolo tirando fuori una ricerca scientifica legata al coronavirus pubblicata nel 2010, che riletta oggi pone di sicuro una riflessione.
Chudov cita infatti un lavoro pubblicato dodici anni fa da un geniale scienziato epidemiologo di nome Ralph Baric.
Perchè Ralph Baric è considerato uno dei massimi esperti al mondo sul coronavirus
Raph Steven Baric non è un nome qualunque nel campo della microbiologia e ancora più nello specifico, negli studi sul Sars-Cov2. È attualmente professore di tre di dipartimenti diversi, epidemiologia, microbiologia e immunologia dell’Università di North Carolina a Chapel Hill.
Ralph Baric è considerato un vero e proprio riferimento nel mondo scientifico sullo studio dei coronavirus, in particolar modo per una ricerca del 2015, condotta insieme a un altro studioso di fama internazionale di nome Vineet Menachery e pubblicata sulla rivista Nature Medicine. Il suo studio del 2015 contiene oltretutto un risvolto inquietante: si può infatti affermare che è proprio a partire da quella ricerca che inizia la fase di sperimentazione di gain of function sui coronavirus, una pratica che consente di amplificare o modificare un virus allo scopo di studiarlo in modo più efficace. La sua ricerca ebbe un grande eco anche in Italia e Baric venne anche intervistato dal programma Leonardo.
Più di recente invece è stato contattato anche dai giornalisti Presa Diretta per parlare delle possibili origini del coronavirus. In quell’occasione, lo studioso rilasciò delle dichiarazioni che ebbero un grande eco internazionale: “Si può ingegnerizzare un virus senza lasciare nessuna traccia. Le risposte che cercate però potete trovarle solo dentro gli archivi del laboratorio di Wuhan”. Un altro aspetto molto interessante di cui Baric parlò nella sua intervista con i giornalisti italiani, fu la cosiddetta firma che gli studiosi che si occupano di modificare i virus possono lasciare al loro interno. Il docente della North Carolina spiegò era possibile inserire delle sequenze specifiche quando si intacca il genoma di un virus: “Se vuoi, puoi scegliere di lasciare una traccia, una specie di firma del tuo intervento. Un po’ come dire, questo virus è stato fatto nel laboratorio del professor Baric”
Lo studio di Baric del 2011 si è concentrato sul grado di mutazione del coronavirus
In questo studio pubblicato nel 2011, Baric ha studiato il coronavirus concentrandosi sul suo grado di mutazione.
Il primo coronavirus scoperto nel 2003, si è rivelato fin da subito un virus altamente patogeno, ma che non possedeva però una capacità di trasmissione molto elevata. Una “mancanza” che evidentemente ha stimolato l’interesse di Baric e del suo team di ricerca. In questo studio del 2011 si sono occupati di capire se esistesse un modo per modificare questo coronavirus, e permettergli di aumentare la velocità con cui era in grado di produrre nove varianti. Come spiega Chudov, semplificando in modo efficace la metodologia adottata da Baric, lui e gli altri ricercatori si sono occupati in primo, attraverso un ampio utilizzo di strumenti bioinformatici di “i cambiamenti genetici necessari per far mutare il virus più velocemente al momento della replicazione, permettendogli così di generare più varianti più velocemente, pur rimanendo robusto e competente per la replicazione”.
Modificare una singola proteina permette a un coronavirus di mutare più in fretta del normale
Senza dilungarsi in tecnicismi scientifici, si può comunque affermare che Baric in questa sua ricerca è riuscito a scoprire che una specifica mutazione genetica, consentiva al virus di aumentare di circa ventuno volte la sua trasmissibilità. Un modifica resa possibile da una proteina chiamata nsp 14-ExoN, ed è proprio su questa che i ricercatori hanno agito per modificare il virus.
La cosa interessante, è che il Sars-Cov2 che ha fatto la sua comparsa nel mondo nel 2020 contiene proprio questa proteina. E sembrano che siano state proprio le mutazioni causate da nsp14 a permettere a questo virus di sviluppare nuove varianti a questa velocità. E qui, c’è una considerazione che pone Chudov nel suo blog che non va sottovalutata.
“Questa potrebbe essere una pura coincidenza: alcuni pipistrelli, seduti nelle grotte a 1.000 km da Wuhan, per puro caso hanno deciso di seguire il suggerimento dell’articolo del 2010 e hanno modificato i geni nsp14 ExoN per far mutare il loro virus più velocemente – solo per divertimento. Conosciamo il resto della storia: quei pipistrelli hanno anche preso in prestito parti del genoma dell’HIV e parti del codice genetico per produrre il peptide NGVEGF dall’influenza suina del 2008. Inoltre, questi pipistrelli hanno violato illegalmente il brevetto di Moderna e hanno inserito una sequenza brevettata da Moderna nel punto chiave del virus SARS-Cov-2, ovviamente senza il permesso di Moderna”.
In Italia Palù (Aifa) ha per la prima volta ammesso come credibile l’ipotesi di un’origine artificiale del virus
Al di là della forte vena ironica con cui il blogger presenta questa ipotesi, si tratta comunque di un’osservazione che non può non far riflettere. In primo luogo perché sull’origine del virus, la comunità scientifica continua a non avere una risposta convincente. Per quasi due anni il mondo intero ha inseguito l’ipotesi di una zoonosi inversa e dunque di un passaggio del virus all’uomo attraverso un ospite intermedio, che in tanti hanno identificato nei pipistrelli.
In tal senso, le dichiarazioni rilasciate da Giorgio Palù alcune settimane fa nel nostro paese, rappresentano un vero e proprio spartiacque storico nel dibattito scientifico italiano sull’origine del virus. Non bisogna dimenticare che per due anni, non solo l’ipotesi di una zoonosi inversa è stata considerata come la teoria più credibile riguardo l’origine del Sars-Cov2, ma tutte le altre, compresa quella che suggeriva invece un’origine artificiale, sono sempre state ridicolizzate senza che vi fossero dei veri fondamenti scientifici in merito. Per questo ha fatto un certo scalpore sentire un esponente di primo piano della sanità pubblica italiana come Palù, ammettere che possiamo “ipotizzare una manipolazione effettuata per soli scopi di ricerca, non certo con intenzioni malevole. Non sarebbe la prima volta che un virus scappi per sbaglio da un laboratorio ad alta sicurezza”
Anche perché c’è un fatto, rimarcato dallo stesso esponente dell’Aifa, che risulta ormai incontestabile:
“Il ceppo prototipo di Wuhan, quello che ha cominciato a manifestarsi in Cina con forme gravi di polmonite, e tutte le varianti che ne sono derivate, presentano una caratteristica peculiare. Nel gene che produce la proteina Spike (quella che il virus utilizza per agganciare la cellula da infettare) appare inserita una sequenza di 19 lettere appartenente a un gene umano e assente da tutti i genomi dei virus umani, animali, batterici, vegetali sinora sequenziati. La probabilità che si tratti di un evento casuale è pari a circa una su un trilione. Una sequenza essenziale perché conferisce al virus la capacità di fondersi con le cellule umane e di determinare la malattia”.