Il centrodestra affossa con oltre 700 emendamenti il testo base sulla riforma della cittadinanza. La maggior parte (poco meno di 500) è arrivata dalla Lega, secondo cui il testo non servirebbe a nulla. Eppure la legislazione italiana segue ancora la misura introdotta nel 1992, lo Ius sanguinis.
Insomma, neanche il tempo di essere adottato dalla commissione Affari costituzionali della Camera, che il testo base sulla riforma della cittadinanza è stato affossato dagli oltre 700 emendamenti presentati dal centrodestra.
Si tratta dello Ius Scholae, il provvedimento presentato dal parlamentare Giuseppe Brescia del Movimento 5 stelle con cui verrebbe riconosciuta la cittadinanza ai minori di origine straniera, nati in Italia o arrivati nel Paese prima di aver compiuto dodici anni, che hanno frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni.
Alla proposta la coalizione di centrodestra ha risposto con una valanga di emendamenti, di cui 480 avanzati dalla Lega. “Siamo contrari al testo perché non serve a nulla”, ha sentenziato il capogruppo del Carroccio in commissione Affari costituzionali. Eppure il pentastellato non rinuncia al tentativo di una mediazione, e promette che nei prossimi giorni incontrerà tutti i gruppi parlamentari per definire i possibili punti di incontro sulle diverse richieste di modifica.
Tutto per cercare da una parte di conciliare l’esigenza del Paese di riconoscere i nuovi italiani che vivono da anni sul territorio e dall’altra di aggirare la contrarietà del centrodestra nei confronti della discussa misura dello Ius Soli.
Mentre il dibattito è aperto alla Camera, la legislazione italiana continua a seguire la norma introdotta trent’anni fa: lo Ius sanguinis. Per la legge al momento, una bambina o un bambino possono avere la nazionalità italiana solo se ce l’ha uno dei due genitori. Nel caso di chi nasce sul territorio italiano, si può richiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto diciotto anni.