Ucraina, l’oligarca russo Abramovich avvelenato? Il tossicologo Locatelli:«Qualcosa non torna»

L’analisi del direttore del Centro Antiveleni di Pavia, Carlo Locatelli, che esprime dei dubbi sulle caratteristiche del presunto avvelenamento dell’oligarca russo

In un colloquio con Adnkronos Salute, il responsabile del Centro antiveleni di Pavia, Carlo Locatelli, fa un’analisi del presunto avvelenamento dell’oligarca russo Roman Abramovich nel corso dei negoziati tra Ucraina e Russia e afferma che qualcosa non torna.

Roman Abramovich-meteoweek.com

«Sono segni molto diversi uno dall’altro», spiega Locatelli, «i sintomi riferiti sono, a mia conoscenza, un qualcosa che complessivamente non è caratteristico di nessuna sindrome classica». Il responsabile del Centro antiveleni pavese afferma che una spia di avvelenamento potrebbe essere «una lacrimazione importante, ma l’occhio rosso no. La cute che si desquama è un elemento storico che viene riportato per il caso di Viktor Yushenko», ex presidente dell’Ucraina, per cui si ipotizzò un avvelenamento causato da diossina.

Si tratta, tuttavia, di effetti cutanei che non compaiono in modo così immediato, ma occorre tempo, «mentre i tre negoziatori, da quello che mi pare di capire, avrebbero avuto i sintomi tutti insieme e molto velocemente. Sono elementi non interpretabili da un punto di vista clinico-tossicologico».

Non che non si possa inventare qualche nuovo genere di veleno, prosegue l’esperto, o mixare sostanze, ma «mi sembra che siamo un po’ lontani da quello che si potrebbe ritenere fondato, a mio parere. Questi sintomi descritti non mi danno idea di niente di caratteristico. Può essere vero che alcuni casi precedenti fanno pensare che i russi potrebbero utilizzare sistemi di questo tipo. Ma in questo caso mi sembra curioso», afferma ancora Locatelli.

Tra le ipotesi di chi ha divulgato la notizia del presunto avvelenamento di Abramovich, ci sono cause come agenti biologici o chimici, nonché radiazioni di tipo elettromagnetico. In merito a queste, Locatelli puntualizza che si è ben lontani da cose di quel genere: «I campi elettromagnetici vengono tirati in ballo spesso e volentieri, le radiazioni sono tutta un’altra cosa».

L’esperto menziona il caso della spia russa Aleksandr Litvinenko, assassinato 16 anni fa con il polonio. A questo proposito, il responsabile del Cav di Pavia sottolinea che il polonio è «un alfa emettitore. Litvinenko fu ricoverato a Londra, perse i capelli. Lì abbiamo visto una malattia da danno che procura un raggio di un alfa emittente e che può dare tutta quella serie di disordini e disturbi. Le radiazioni sono di tipi diversi, e fanno dei danni diversi a seconda della forza che esprimono e se sono interne o esterne. Ma non sono un qualcosa da cui si torna indietro, non potrebbero essere un avviso per intenderci».

Locatelli spiega che in genere, i sintomi più comuni di un avvelenamento da agenti nervini sono la lacrimazione importante, ma anche il «naso che cola, il bronco e il polmone che si riempiono d’acqua. In pratica, gli agenti nervini e le sostanze di questa famiglia danno dei sintomi che portano a buttare fuori liquidi da tutte le parti. Quindi la lacrimazione, la rinorrea, la sudorazione, l’edema polmonare, per via del fatto che il polmone si riempie d’acqua ed è poi la causa di morte rapida per un’esposizione a queste sostanze. Non ci stanno invece né l’occhio rosso né la cute desquamata, anzi quest’ultima sarebbe al contrario bagnata. Ci sono metalli che invece danno un sintomo simile alla desquamazione, ma questo compare dopo qualche giorno che viene assunta una dose di un veleno. E la lacrimazione non c’entra».

L’esperto spiega che non è semplice riconoscere un avvelenamento, ecco perché ci sono gli esperti che invece sanno come riconoscerlo. E su questo punto, Locatelli precisa che non esiste “il veleno perfetto”. È possibile rintracciare tutto, «ma può essere difficile intercettarlo, specie quando gli agenti» causa dell’avvelenamento «sono in micro-quantitativi e quando i prelievi vengono fatti dopo un po’ di tempo e la sostanza magari non c’è più». 

Locatelli fa altri esempi, come quello del fungo Amanita phalloides, mortale, che «vediamo anche 36-48 ore dopo. Alcune droghe non le vedi più dopo 4 ore nel sangue e nelle urine. Dipende da come sono veloci le distruzioni metaboliche delle sostanze».

Le analisi eseguite tramite esami tossicologici possono «identificare tantissimo. I tossicologi forensi o clinici italiani che fanno analisi sono in grado di intercettare migliaia di sostanze». L’unico inghippo è che poi «bisogna cercarle tutte. E non è detto che si trovino, dipende da tante cose. E’ molto complicata la questione clinico tossicologica e a volte ci scontriamo con problemi da ‘Sherlock Holmes’. Di casi di sospetto veneficio, in ogni caso, ne capitano più di quanti si pensi», chiosa l’esperto.

Gestione cookie