Long Covid, la “nebbia cognitiva” che può durare anche un anno: ne soffre il 63% dei pazienti. In tutto, le stime parlano di almeno 5 milioni di persone affette da long Covid nel mondo.
La ricerca sul cosiddetto “long Covid“, per il quale i pazienti contagiati dal virus soffrono i sintomi da Covid-19 per oltre tre mesi dall’infezione, è rimasta indietro rispetto agli studi sulla fase acuta della malattia. Chi è affetto dal long Covid è costretto a vivere con una vasta gamma di sintomi, che vanno da lievi a gravemente debilitanti.
I ricercatori hanno identificato varie cause scatenanti una simile condizione: dai persistenti serbatoi virali, all’autoimmunità, a minuscoli coaguli di sangue. Un’ipotesi attribuisce lo scoppio del long Covid a tutto un mix di questi fattori. “Ci è voluto del tempo per portare avanti qualsiasi ricerca meccanicistica seria sul long Covid”, afferma l’immunologo Danny Altmann dell’Imperial College di Londra. “È difficile mettere insieme il quadro generale della situazione”, ha ribadito l’esperto. Ciò che è stato osservato dagli studi sui pazienti affetti dalla condizione, comunque, è che tale “nebbia cognitiva” (sintomatologia principale della malattia) può persistere anche per un anno dopo l’infezione.
Il 63% dei pazienti soffre di long Covid, sintomi anche per 12 mesi
Studiare il long Covid e i suoi effetti, però, è tutt’altro che semplice. Uno studio britannico ha suggerito che la condizione è infatti associata a più di 200 sintomi, dalla nebbia cerebrale (la più segnalata dai pazienti affetti dagli strascichi della malattia) alle palpitazioni cardiache. Ma si parla anche di danni microscopici ai polmoni, microcoaguli e bassi livelli di alcuni anticorpi. “Si tratta di un problema globale”, ha affermato in un’intervista esclusiva al Guardian, il professor Danny Altmann, immunologo dell’Imperial College London. “Abbiamo almeno 5 milioni di persone sul pianeta affetti da long Covid. E hanno tutti una vasta gamma di gravi problematiche”.
Condizioni più comunque a tutti i pazienti affetti dalla condizione, comunque, è quella legata alla cosiddetta “nebbia cerebrale” (o “cognitiva”). Nello specifico si tratta di una sorta di “rallentamento” o “stanchezza mentale”, in grado di compromettere (anche seriamente) anche le più semplici azioni quotidiane – quali lavorare, guidare, o fare la spesa. Secondo uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Nature, gli effetti sulla salute mentale dei pazienti sarebbero molto simili a quelli provocati da malattie quali l’Alzheimer, o dai trattamenti chemioterapici.
Sempre secondo quanto riportano gli studi, gli effetti più gravi sarebbero da rintracciare nei pazienti finiti ospedalizzati a causa delle complicanze del Covid. Il particolare, il 63% dei casi ha manifestato disturbi/deficit cognitivi fino anche a 5 mesi dalle dimissioni – con il 50% dei casi che avrebbe riscontrato il persistere del disturbo fino a 12 mesi post ospedalizzazione. “Deficit cognitivi, come il rallentamento mentale e le difficoltà di memoria, possono essere osservati anche dopo un anno dal contagio, e potrebbero interferire con il lavoro e la vita quotidiana”, ha spiegato la coordinatrice dello studio Roberta Ferrucci, docente di Psicobiologia e Psicologia fisiologica alla Statale di Milano.
Studiare gli effetti e il percorso del long Covid diventa quindi fondamentale, soprattutto per delineare eventuali “interventi di riabilitazione, in particolare sui pazienti più giovani che potrebbero avere implicazioni sociali e lavorative significative, e sperimentare un aumento dell’affaticamento mentale e dello stress” – spiega Roberta Ferrucci, docente di Psicobiologia e Psicologia fisiologica alla Statale di Milano e coordinatrice dello studio pubblicato su European Journal of Neurology. Ad ogni modo, finora i vaccini pare siano il modo migliore per prevenire non solo il Covid-19, ma anche il long Covid – riducendo a monte il rischio di infezione da SARS-CoV-2.