Una storia che inizia alla fine degli anni ottanta, e che vent’anni dopo ha aiutato il mondo a lottare contro la pandemia.
Le terapie geniche che utilizzano l’Rna sono conosciute con l’espressione di “RNA targeted therapies”.
Si tratta di una strategia che utilizzando una molecola corta di Rna o Dna permette un’azione in grado di modulare l’Rna Messaggero. Il meccanismo utilizzato viene chiamato “Rna Interference”, conosciuto anche in italiano con il termine di regolazione dello splicing o maturazione del mRna. Nonostante si tratti di una tecnologia molto innovativa, questa non viene considerata tale dal mondo della scienza, al punto che non rientra tra le Advanced Therapy Medicinal Product.
In ambito biotecnologico comunque, la terapia genica a mRna resta comunque considerata una vera e propria tecnologia di frontiera.
Ma che cos’è l’Rna Messaggero?
Si tratta di una molecola che è in grado di veicolare le istruzioni che sono contenute nel nostro genoma. Riesce cioè a fare in modo che questa sia in grado di trasformarsi in una proteina. Come si accennava in precedenza, lo scopo è sostanzialmente quello di modulare l’mRna in modo chirurgico, per far sì che sia in grado di regolare l’espressione del prodotto di un gene, senza che vi sia bisogno di cambiare o interferire con il codice genetico originario. Per questa la terapia genica a mRna viene considerata in modo diverso da altre più avanzate, in quanto non ha lo scopo quello di correggere un difetto presenti nei geni, agendo in modo diretto sul Dna.
Questa è la tecnica con cui sono stati realizzati i vaccini a mRna. Il loro obiettivo è quello di far produrre al nostro corpo la proteina spike presente nel coronavirus. Ma è importante capire che non si tratta di una proteina contenuta nel vaccino, ed è questo che differenzia questa nuova classe di farmaci dai vaccini tradizionali. La spike infatti si forma nelle cellule in un momento successivo alla vaccinazione. Lo scopo è quello dunque di creare questa proteina tramite un’istruzione molecolare, e fare in modo che il nostro corpo la riconosca, generando così una risposta del sistema immunitario.
In questo modo si possono così formare le cellule di memoria e degli anticorpi diretti che sono in grado di difendersi da questa proteina. I vaccini Covid sono stati resi possibili dal grande avanzamento del settore della nanotecnologia che ha permesso di sviluppare delle goccioline di grasso chiamate nanoparticelle lipidiche. Questi hanno la capacità di avvolgere l’mRna in una piccolissima bolla che ne consente l’ingresso nelle cellule. Nello specifico, i vaccini Covid contengono un’istruzione, inviata sotto forma di mRna sintetico, che consente di produrre una versione modificata della proteina spike. Non sono però in grado di causare una vera e propria infezione da Covid proprio a causa di questa modificazione, in quanto non contengono al loro per la produzione completa di questo coronavirus.
La sintesi dell’mRna sintetico è stata la scoperta che ha messo le basi per questa tecnologia, avvenuta nei primi anni ottanta. Uno degli esperimenti più conosciuti è quello realizzato dallo scienziato Robert Malone nel 1987, che lo ha portato ad essere considerato tutt’ora, uno dei veri padri fondatori della tecnologia a mRna. Malone racconta la sua scoperta in un articolo intitolato “The Tangled History of mRna Vaccines” pubblicato sulla rivista Nature. In un lungo articolo, lo scienziato raccontò di come era riuscito a mescolare dei filamenti di Rna con le nanoparticelle lipidiche. E dopo averle messe a contatto con delle cellule, osservò come l’mRna fu immediatamente assorbito, iniziando così a produrre la proteina che aveva scelto. Sembrava l’inizio di una vera e propria rivoluzione in campo medico, ma in realtà c’erano troppi problemi.
La molecola di Rna era troppo instabile e inoltre il processo di gestione per poterlo in seguito applicare a delle varie terapie geniche, aveva un costo considerato insostenibile per i tempi. Tra gli anni 90 e 2000, nessuna casa farmaceutica mostrò un vero interesse per continuare la ricerca in questi campo e lanciare un vaccino che funzionasse in questo modo. Non tutti gli scienziati però accettarono questo rapido disinteresse verso questa tecnologia.
Una biologa ungherese di nome Katalin Kariko aveva invece da subito intuito le grandi potenzialità del sistema scoperto da Malone.
Kariko non è nome qualunque quando parliamo di vaccini Covid.
Si tratta infatti dell’attuale vicepresidente di BioNtech, la casa farmaceutica che ha prodotto il vaccino Pfizer. Grazie all’impegno profuso in questi decenni, oggi viene considerata uno degli scienziati più importanti al mondo, sempre ad un passo dal Nobel per la medicina, che forse diventerà per lei adesso realtà con il successo ottenuto da questi vaccini. Kariko ha passato praticamente tutti gli anni novanta alla costante ricerca di un modo per poter trasformare l’mRna in una vera e propria terapia genica. Nessuno però voleva finanziare il suo progetto di ricerca.
Il suo interesse non era ben visto, al punto che a un certo punto venne retrocessa dalla sua posizione universitaria, ricevendo anche un taglio dello stipendio come punizione. Le venne però comunque permesso di continuare la sua ricerca nell’Università della Pennsylvania, dove iniziò a collaborare con un immunologo di nome Drew Weissman. Lo scopo comune che si erano prefissi, era quello di utilizzare la tecnologia a mRna per riuscire a produrre un vaccino contro l’HIV.
I primi studi preclinici non diedero i risultati sperati. I due ricercatori scoprirono infatti che gli mRna che provavano a testare, causarono delle fortissime reazioni infiammatorie negli animali. Un effetto collaterale troppo grande. Nel 2005 però ci fu un deciso passo in avanti. Si scoprì infatti che era possibile fermare questa reazione infiammatoria. La soluzione arrivò attraverso la modifica di uno dei nucleotidi che compongono l’mRna, l’uridina. Si tratta di un uracile che in natura è legato a una molecola di zucchero. I ricercatori riuscirono a capire riorganizzando i legami chimici della molecola, e trasformandola in pseudouridina, era possibile risolvere il problema delle reazioni infiammatorie. Ma questo comunque non deve far dimenticare che anche nel momento in cui nel 2005 si trovò una soluzione a questo problema, il vero grimaldello di questa storia, sono le nanoparticelle lipidiche. Grazie a loro infatti i vaccini contro il Covid sono possibili. Come abbiamo spiegato prima, se il filamento di mRna riesce a entrare a contatto con la cellula, è grazie al rivestimento di grasso fornite da queste nanoparticelle, che lo rinchiudono in una bollicina.
Questo metodo è stato poi messo a punto in modo definitivo alla fine degli anni novanta da un biochimico di nome Peter Cullis dell’Università della British Columbia in Canada. Lo scienziato riuscì infatti a mettere a punto un sistema per inserire nelle cellule umane dei piccoli filamenti di acidi nucleici che erano in grado di silenziare i geni. La sua ricerca trovò subito una prima applicazione medica: venne realizzato un farmaco di nome Patisiran.
Si trattò della prima terapia basata su Rna mai realizzata dalla scienza occidentale. Può essere considerata il vero e proprio fulcro che ha permesso di provare che era possibile sviluppare in modo efficace un sistema di consegna dell’mRna attraverso le nanoparticelle lipidiche.
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