C’è il dna di Liliana Resinovich sul cordino stretto attorno al suo collo

È una traccia importante quella rinvenuta sullo spago che legava il sacchetto di nylon dove è stata infilata la testa di Liliana Resinovich, la donna triestina di 63 sparita dalla sua abitazione il 14 dicembre 2021 e ritrovata morta poco lontano il 5 gennaio successivo, nel piccolo bosco dell’ex ospedale psichiatrico.  Sul cordino infatti c’è anche il suo dna. Lo hanno messo in luce le analisi della Scientifica, che stanno passando al setaccio i ritrovamenti. La conferma è arrivata anche dalla Procura di Trieste.

Tra le due ipotesi in campo, oltre a quella del delitto, c’è anche il suicidio. Una pista apparentemente difficile da immaginare visto come è stato trovato il cadavere della donna.

Il suo corpo era ripiegato su se stesso e chiuso in due sacchi della spazzatura aperti, uno a coprire la testa e l’altro i piedi, e poi i due sacchetti di nylon sul capo e stretti al collo dallo spago.

Una ipotesi forse difficile da immaginare ma per nulla impossibile, spiegano al ‘Corriere della sera’ i medici legali, essendoci già stati suicidi avvenuti in questa maniera. Come quello di Gabriele Cagliari, il presidente dell’Eni che trent’anni or sono si era suicidato soffocandosi in questo modo all’interno del penitenziario.Dagli altri esami eseguiti finora poi non è emerso nulla che indichi chiaramente la pista dell’omicidio: nessuna ferita, nessun segno di una colluttazione, nessuna sostanza velenosa. Sui sacchi neri non ci sono impronte, anche perché sono rimasti all’aperto per intere giornate. Nessun indizio neanche dal contenuto della bottiglietta di plastica recuperata vicino al cadavere di Liliana, nessun segno di farmaci mortali neanche dal tossicologico. Niente insomma.

Fino ad ora nessun indizio decisivo

Liliana Resinovich assieme al marito Sebastiano Visintin – Meteoweek

Anche gli ultimi risultati di laboratorio fanno propendere piuttosto per l’ipotesi del suicidio. Il dna trovato sullo spago infatti è misto. Vale a dire che non c’è solo il materiale genetico di Liliana, ma anche un altro, molto debole però, difficile da individuare. In gergo tecnico lo chiamano «sporco». Su questa porzione di dna è possibile solo fare un esame comparativo. Cioè si può mettere a confronto questa traccia debole con il dna di un altro soggetto in maniera da escludere che appartenga a lui, un confronto che può essere eseguito una volta soltanto vista la scarsità dell’impronta disponibile.

Per gli inquirenti il dna non è così significativo

Se si decidesse di procedere così, ricorda il Corriere, si aprirebbero scenari nuovi. Dovrebbero essere infatti informati i «sospettati», così da evitare possibili contestazioni future. Tra questi sospettati (al momento non risultano indagati) c’è Sebastiano Visintin, il marito della donna morte, sul quale ad oggi non è spuntato alcun indizio serio – quale non è il suo comportamento particolare.

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Gli inquirenti non danno tutta questa importanza al dna sporco. Il solo esame del dna non potrebbe comunque portare a identificare il nome dell’assassino, spiegano gli esperti. E poi gli investigatori trovano poco compatibile la traccia di dna di Liliana sullo spago con la tesi del delitto, cioè con l’ipotesi che la donna sia stata prima strangolata dall’assassino che poi le avrebbe infilato la testa nei sacchetti. Tanto più che l’autopsia ha escluso lo strangolamento. E anche se sul cordino ci fosse la traccia biologica del marito, l’uomo potrebbe sempre aver toccato lo spago in casa prima della sparizione della moglie.

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Dunque non sarà facile decidere come procedere. L’avvocato di Visintin propone di prendere il dna di tutti i soggetti coinvolti nell’indagine. Il suo assistito non si opporrebbe e sembra anzi che abbia già fornito il suo dna. Resta comunque un bel rompicapo per la procura.

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