Urgono soluzioni rapide per fronteggiare le problematiche energetiche scatenate dall’invasione in Ucraina. Si pensa a ripristinare un vecchio impianto
La crisi energetica scatenata dalla decisione di limitare le risorse che arrivano dalla Russia, porta l’Italia a trovare alternative tra i propri fornitori ma anche a rimettere in moto vecchi impianti che si ritenevano ormai obsoleti. E’ il caso della miniera di carbone di Monte Sinni, nel Sulcis-Iglesiente in Sardegna, di proprietà dell’azienda partecipata Carbosulcis. L’unica miniera ancora attiva nel nostro Paese ora sembra destinata alla riapertura.
Il sito è in disuso dal 2019 ma lo smantellamento non è ancora iniziato. Le potenzialità sono di circa 25 milioni di tonnellate di carbone ancora da estrarre. Chiedono la sua riattivazione i i senatori di Forza Italia Anna Maria Bernini ed Emilio Floris durante una interrogazione parlamentare, invitando a intervenire sull’argomento anche il premier Mario Draghi e i ministri dello Sviluppo economico e della Transizione ecologica Giancarlo Giorgetti e Roberto Cingolani.
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Si legge nell’interrogazione “si sollecita il governo a intervenire presso la Commissione Europea per richiedere la revisione del piano di chiusura del sito che ha una potenzialità immediate di 25 milioni di tonnellate di carbone e di successiva ‘coltivazione’ fino a 100 milioni“. Secondo Bernini e Floris il governo dovrebbe inoltre fissare in venti anni “la verifica sulla opportunità del prolungamento dell’attività estrattiva con un piano dettagliato che preveda l’individuazione delle attrezzature necessarie l’addestramento del personale“.
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LE PERPLESSITA’ DEL SINDACATO
Molti dubbi sono stati sollevati dal segretario della Filtem Cgil, Emanuele Madeddu. “La sua qualità non è delle migliori e può essere impiegato solo se mischiato ad altri tipi di carbone” afferma il sindacalista. In realtà Maddeddu non sarebbe contrario al reinserimento dei 113 lavoratori della miniera ma “al momento la struttura non è fruibile per affrontare l’emergenza energetica a causa di problemi tecnici e di tempistica”. Inoltre “l’idea potrebbe servire per garantire una ‘riserva fredda’ di carbone utilizzabile in qualsiasi momento. Ma questo sarebbe possibile solo se si mantengono le infrastrutture“.