La decisione ungherese spiazza l’Italia, che dipende per oltre la metà del suo fabbisogno alimentare da Ungheria e Ucraina.
L’Ungheria ha deciso di sospendere l’export di cereali, soia e girasole. La decisione del paese magiaro mette a rischio un allevamento su quattro in Italia. Nel campo dell’alimentazione degli animali il nostro paese dipende dalle importazioni di mais da Ungheria e Ucraina. Entrambi i paesi, per via della congiuntura internazionale, hanno stoppato le esportazioni e questa decisione si ripercuoterà inevitabilmente sull’Italia trattandosi dei due primi fornitori di mais del nostro paese. A stigmatizzare quella che appare una mossa irresponsabile da parte di un paese membro della Ue come l’Ungheria è stata la Coldiretti, che per bocca del suo presidente nazionale Ettore Pradini ha denunciato la decisione del paese magiaro di fermare fino al 22 maggio le esportazioni di grano e di altri cereali come segale, orzo, avena oltre a quelle di semi di soia e di girasole.
La decisione ungherese «compromette il mercato unico e mina le fondamenta stesse dell’Unione Europea» ha detto Pradini che invoca l’intervento della Commissione Ue per «fermare un comportamento assurdo ed assicurare il regolare funzionamento del mercato unico».
Da Ungheria e Ucraina metà delle importazioni italiane di mais
Toni forti che illustrano la gravità della situazione. Nel 2021 l’Ungheria ha importato in Italia ben 1,6 miliardi di chili di mais, mentre altri 0,65 miliardi di chili sono arrivati dall’Ucraina. Nel complesso parliamo di 2,25 miliardi di chili, un quantitativo che da solo costituisce circa la metà della importazioni italiane. Secondo le stime della Coldiretti, in questo campo per la metà del proprio fabbisogno l’Italia è dipendente dalle importazioni estere. In una settimana il prezzo del grano è impennato del 40,6% toccando il valore massimo dal 2008: 12,09 dollari per bushel (27,2 chili). Elevatissime anche le quotazioni del mais, mentre la soia cresce del 5%.
Una nuova fase della crisi: dopo il rincaro dei prezzi, la crisi delle materie prime alimentari
Secondo Paolo Carra, allevatore e vicepresidente di Coldiretti Lombardia, siamo entrati in una nuova fase della crisi, dopo il rialzo dei prezzi c’è il pericolo reale di non riuscire ad assicurare il nutrimento per il bestiame. Solo in Lombardia – ricordano da Coldiretti – viene allevato un bovino italiano su quattro e più del 50% dei maiali italiani. In totale nel nostro paese ci sono 8,5 milioni di maiali, 6,4 milioni di bovini e più di 6 milioni di pecore.
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Importare materie prime agricole è una necessità per l’Italia a causa dei bassi guadagni dell’industria del settore, con gli agricoltori che hanno dovuto diminuire di quasi un terzo la produzione nazionale di mais nell’ultimo decennio. Solo in Lombardia, spiega Coldiretti, la riduzione è stata superiore al 40%. Sempre negli ultimi dieci anni è sparito un campo di grano ogni cinque ed è sfumato quasi mezzo milione di ettari coltivati per via di una politica industriale dal corto respiro che a lungo ha scelto la strada della speculazione acquistando a basso costo sul mercato mondiale invece che assicurarsi l’approvvigionamento sul mercato interno puntando sullo sviluppo delle filiere produttive nazionali, come auspicato da Coldiretti.
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«Un errore imperdonabile che è possibile recuperare», osserva Prandini per il quale ci sono le condizioni, la tecnologia e le risorse umane per arrivare a garantire al nostro paese l’autosufficienza in campo alimentare. A patto di agire in fretta per evitare le chiusure delle imprese agricole ancora in attività sbloccando i fondi già stanziati nel Pnrr, come gli 1,2 miliardi destinati ai contratti di filiera. Ma sarà anche vitale incentivare le ristrutturazioni e le rinegoziazioni dei debiti a 25 anni per mezzo dell’Ismea, oltre alla necessità di stoppare la speculazione sui prezzi corrisposti alle aziende agricole applicando in maniera efficace il decreto sulle pratiche sleali. Inoltre, finisce il presidente di Coldiretti, bisognerà incrementare la produzione e la resa dei terreni agricoli con misure adatte a contrastare la siccità e la presenza sempre più invasiva della fauna selvatica, oltre che promuovere l’innovazione tecnologica e la protezione della biodiversità.