Lo dicono i rapporti dell’allora ambasciatore Usa a Mosca. «Violenze e tensioni con Kiev partner della Nato: Mosca è pronta a intervenire».
Putin aveva già deciso quattordici anni fa di strumentalizzare la tensione intorno all’Ucraina per intervenire militarmente? Sembrano suggerirlo i cablo inviati a Washington dall’allora ambasciatore statunitense a Mosca, William J. Burns, e adesso divulgati da WikiLeaks. Il diplomatico scriveva, il primo febbraio del 2008, che l’ipotesi di un avvicinamento, o addirittura di un’entrata di Ucraina e Georgia nella Nato, preoccupava vivamente l’establishment russo, e che il governo si serviva di questa carta per guadagnarsi le simpatie della corrente ultranazionalista. In particolare: «Riguardo all’Ucraina c’è il timore che (l’ingresso nella Nato, ndr) potrebbe spaccare il paese in due, generare violenza, e spingere nella direzione di una guerra civile, ipotesi nella quale la Russia sarebbe chiamata ad intervenire militarmente».
Lo scenario di una Ucraina sotto l’ombrello dell’alleanza atlantica secondo Burns «presenta enormi complicazioni per l’industria della Difesa russa, e per la possibile separazione delle famiglie» che verrebbe generata.
Il carteggio rientra nella sostanziosa documentazione pubblicata da WikiLeaks nel 2016. Un corpus di faldoni elettronici molto eterogenei, tra i quali risaltava la collezione di circa 20.000 e-mail trafugate dal server privato che Hillary Clinton aveva utilizzato negli ultimi anni da segretaria di Stato dell’amministrazione di Barack Obama, e poi come candidata nelle elezioni presidenziali Usa contro Donald Trump. All’interno del server ci sono anche spiccioli di gossip riguardanti l’Italia, come le intercettazioni telefoniche del telefono di casa di un pedofilo, con la moglie impegnata a rassicurare amici e parenti delle prossime cure mediche che saranno ricevute dal coniuge.
La pedofilia riguarda una porzione rilevante della documentazione, con riferimenti a diversi paesi. Alcuni file specifici su reati sessuali relativi al nostro paese si aprono su pagine criptate, che non si possono visionare. Altri parlano invece del simbolo di un cuore che ne racchiude uno più piccolo: il simbolo usato sotto forma di gioiello per indicare chi preferisce le giovani donne, mentre una simile coppia di triangoli identifica chi preferisce i maschi. Tra le centinaia di titoli risalta il nome di Steve Jobs. Il link rimandava a due pagine esplosive, nelle quali si poteva leggere che il creatore di Apple si era rivolto a un dottore di San Francisco per sottoporsi a un test medico dal quale era poi risultato positivo al virus dell’Aids.
Ma in questo frangente Assange era incappato nella trappola di un falso. Se ne rese conto messo davanti all’evidenza che il laboratorio menzionato nel referto era stato aperto idue anni dopo il primo settembre del 2004, la data indicata sulle pagine con ogni evidenza contraffatte. A suo onore bisogna riconoscere che la spia-giornalista australiana si scusò quello stesso anno scrivendo una lettera a Steve Jobs.
Per tornare al nostro paese, un’altra intercettazione riferita all’ambientalista campano Walter Ganapini sembra coinvolgere la presidenza della Repubblica e i servizi segreti nello scandalo del riciclaggio delle ecoballe. Si indica anche una possibile consulenza della banca britannica Barclays, per consentire a una ditta italiana di evitare di versare tasse su una transazione finanziaria internazionale. Briciole di scandali e di pettegolezzi, che attestano la fase già declinante di Wikileaks.
La raccolta prosegue coi temi più disparati, da quelli più frivoli a quelli più seri. Ad esempio si trova tutto il carteggio di un professore di giornalismo della Ball State University che tenta di organizzare un incontro con una dominatrix. Quando i messaggi di posta elettronica furono resi noti da WikiLeaks il professore venne allontanato. C’è anche l’imbarazzante topica in campagna elettorale del senatore repubblicano John McCain, avversario di Barack Obama nel 2008, che chiedeva supporto finanziario all’allora ambasciatore russo all’Onu, Vitaly Churkin: è proibito chiedere finanziamenti a uno straniero, ma evidentemente la campagna aveva incluso il nome del diplomatico russo all’interno di una lista di simpatizzanti.
Ci sono poi documenti rivelatisi fasulli, come la presunta lettera di una banca svizzera ad Angela Merkel che induceva a ritenere che la cancelliera tedesca avesse un conto bancario segreto, ma anche cabli top secret di provata veridicità. Come per esempio la lista dei siti, delle ricerche e dei laboratori nucleari americani passato nel 2009 dall’Amministrazione di Obama all’Agenzia Atomica di Vienna. Oppure carteggi ancor più antichi e sensibili, come lo scambio epistolare fra la Cia e il Dipartimento di Giustizia, risalente al 2002, sull’eventualità di impiegare «strategie di maggior pressione nell’interrogatorio di esponenti di al-Qaeda»: in altri termini, la richiesta di fare ricorso a certe forme di tortura, autorizzazione che viene concesso relativamente a Abu Zubayda, il luogotenente di Osama bin Laden. Si trovano anche meticolosi rapporti del Pentagono relativi a indagini sui maltrattamenti inflitti ai prigionieri in Iraq nel corso dell’anno 2006.
Ci sono anche una marea di mail di Hillary Clinton, ma di scarso valore geopolitico, se non per comprendere come, da segretario di Stato, Hilary si preparasse prima di interviste o di incontri coi capi politici: la sua fida assistente Huma Abedin le mandava il giorno precedente dei sintetici messaggi che solitamente compendiavano articoli pubblicati su riviste o giornali.
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Nei faldoni c’è anche un piccolo box di “istruzioni” riguardanti Berlusconi nel settembre 2010: «Il governo del Primo Ministro Silvio Berlusconi ha da lungo tempo fatto affidamento su due gruppi che una volta erano considerati estremi – uno di essi l’ex partito fascista sotto Gianfranco Fini e l’altro la secessionista Lega del Nord di Umberto Bossi. Una frattura fra Berlusconi e Fini ha lasciato a Bossi l’attuale ruolo di kingmaker della politica italiana».
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Ma da anni oramai WikiLeaks non produce nuove rivelazioni sui media. Le “gole profonde” si fidano ormai poco di un sito schieratosi apertamente con Mosca. WikiLeaks sta appunto tentando di recuperare credito buttandosi sulla questione ucraina e invitando chi disponesse di informazioni a utilizzare la piattaforma Briar, una app di messaggistica di tutto rispetto, già estesamente sperimentata e pensata per tutelare la privacy dei propri utenti. Briar potrebbe essere molto utile agli ucraini, ma il solo fatto che a suggerirla sia stato WikiLeaks li spinge ad allontanarsene, temendo che dietro alla piattaforma si trovi nuovamente Putin.
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