A distanza di due anni da quando il Covid è apparso nel mondo, nessuno sembra voler sponsorizzare troppo la sua origine artificiale.
“Io in realtà vorrei complimentarmi con gli esperti dell’Oms perché hanno avuto tutti contro e sono riusciti con grande impegno a mettere insieme 400 pagine di report che contengono tutte le informazioni utili per stabilire l’origine del coronavirus”
(Steven Quay)
A distanza di due anni la comunità scientifica internazionale si trova in una sorta di limbo.
Che il Covid abbia un’origine artificiale, e sia un virus di laboratorio sfuggito dalle stanze di Wuhan è una tesi accertata scientificamente ormai da tempo. Una verità che sia la Cina che gli Stati Uniti hanno fatto il possibile per nascondere, e che in Occidente è emersa lo scorso anno grazie ai repubblicani che, attraverso il FOIA, sono riusciti a ottenere diverse mail che hanno finito per mettere nei guai il consulente Usa alla pandemia Anthony Fauci. I documenti desecretati hanno mostrato al mondo intero le due facce di Fauci: quella pubblica, in cui negava con forza la tesi di un’origine artificiale del coronavirus, etichettando come insano complottismo, e quella privata, in cui accoglieva con preoccupazione le istanze dei medici che gli scrivevano proprio per sostenere questa tesi.
Medici che però, esattamente come Fauci, in pubblico negavano tutto.
Il caso di Robert Garry è forse quello che meglio di altri aiuta a comprendere quanto poco i vertici americani ci tenessero a far conoscere alla popolazione la verità sul Covid, e le teorie più accreditate sulla sua origine.
Gary è uno scienziato che lavora grazie ai finanziamenti del NIAD diretto da Fauci, e fin dall’inizio della pandemia ( ma questo lo abbiamo scoperto soltanto dopo grazie ai mailgate), non ha mai nascosto la sua perplessità riguardo l’origine naturale del Covid. In una delle e-mail trafugate scrive ad esempio che “non riesco davvero a pensare a uno scenario naturale plausibile in cui si arriva dal pipistrello virus”. Alcune caratteristiche che lo scienziato aveva infatti riscontrato nel virus, non potevano a suo giudizio esistere in natura, come ad esempio “l’allineamento delle punte a livello di aminoacidi: è sbalorditivo”. Per questo spiegava a Fauci che “ovviamente, in laboratorio, sarebbe facile generare l’inserto di 12 basi perfetto che volevi”. Confidenze tra lo scienziato e il consulente Usa alla pandemia, che i due si rivolgevano nel mese di febbraio del 2020, quando il virus era appena apparso in tutta la sua violenza in Occidente, in un momento in cui Bergamo stava rapidamente diventando il vero epicentro del Covid.
Gary però in pubblico sosteneva tutt’altro: in quegli stessi giorni infatti divenne tra i firmatari di un articolo pubblicato su Nature che promuoveva apertamente l’idea che il coronavirus fosse di origine naturale. Un documento che ebbe fin dall’inizio molta risonanza, e venne utilizzato nei giorni successivi dalla maggior parte dei media come inconfutabile prova per demolire tutte le teorie alternative che ipotizzavano invece una fuga del virus dal laboratorio di Wuhan.
Covid, la teoria di Steven Quay sull’origine del virus
Steven Quay invece non ha mai avuto dubbi, e fin dai primi mesi della pandemia, ha iniziato ad affermare che al “99,8% il Covid è stato creato in laboratorio”.
Da dove gli derivava così tanta sicurezza sull’argomento? Vista la fame di cui gode, Quay è stato chiamato in causa più volte dai media di tutto il mondo, e alcuni mesi fa ha rilasciato un’intervista esclusiva al programma Atlantide condotta da Andrea Purgatori, per chiarificare meglio le sue considerazioni. Quay ha sempre sostenuto che l’OMS non ha mai nascosto questa ipotesi, come invece hanno affermato alcuni scienziati in questi due anni. Secondo il medico, il Covid-19 possiede alcune caratteristiche molto specifiche che dimostrano in modo quasi inequivocabile la sua origine naturale. La prima riguarda la presenza inspiegabile della furina, un enzima contenuto all’interno della proteina spike.
“Per migliaia di anni questo tipo di virus non ha avuto accesso alla furina delle cellule umane e improvvisamente sì, grazie a quella chiave enzimatica di trasmissione.Se osservate le varianti possibili, troverete il 99% di caratteristiche giuste per infettare gli esseri umani. La Sars aveva solo il 25% delle varianti per innescare l’epidemia, poi gli ci è voluto un anno per passare al 100%. Qui abbiamo da subito il 99,5% già a dicembre”.
La sua interazione con la Spike ha da subito colpito Quay: “Questa interazione immediata rende più facile la trasmissione e determina quali organi il virus attacca. Inoltre, permette al virus di aggredire non solo le vie aeree, ma vasi sanguigni, cuore e cervello. Quindi, aggiunge alla naturale capacità infettiva una dose maggiore di letalità”. Questo enzima però non si trova mai nelle altre tipologie di coronavirus scoperte sino adesso dalla scienza. La seconda caratteristica riguarda invece la totale mancanza di prove riguardo un possibile ospite intermedio che abbia trasmesso il virus all’uomo. La teoria più famosa, ovvero quella che vuole che questo coronavirus sia arrivato all’uomo attraverso i pipistrelli, non ha mai trovato alcun tipo di prova a sostegno.
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Di questo ospite intermedio continua a non esserci traccia.
“Il virus” racconta Quay “non c’è in nessuno degli 80mila animali esaminati in Cina. Improvvisamente è comparso nell’uomo e con una capacità trasmissione rapida”.