Il New York Times mette sotto accusa il CDC americano e il suo rifiuto a pubblicare i dati più importanti su Covid e vaccinazioni.
Il CDC, a distanza di due anni da quando il coronavirus è arrivato in Occidente, non ha ancora pubblicato la maggior parte dei dati che ha raccolto sul Covid e sull’effetto delle vaccinazioni.
La denuncia arriva dal quotidiano americano New York Times. Già quando il CDC aveva pubblicato alcune settimane fa i primi dati sull’efficacia della terza dose negli adulti, erano stati omessi in modo inspiegabile i numeri relativi alla fascia di età tra i 14 anni e i 45 anni. Una mancanza di trasparenza nei confronti dei cittadini, di cui l’ente americano non sembra preoccuparsi troppo. Non fosse che si tratta di dati preziosissimi per gli operatori sanitari che in base alla risposta immunologica della popolazione, potrebbe migliorare il tiro nella lotta al contenimento del virus. Anche perché gli esperti americani, non disponendo di questi dati, si sono dovuti accontentare di quelli forniti da Israele, e già questo rende l’idea di quanto sia grave la mancanza del CDC.
Una spiegazione di questi ritardi l’ha fornita la portavoce del CDC Kristen Nordlund che ha spiegato che il centro sta inseguendo una strategia ben precisa che lo porta a rilasciare pochissimi dati, in quanto la verifica richiede molto tempo e non si vuole in alcun modo fornire al grande pubblico delle informazioni che possano essere interpretate in modo erroneo su un tema così delicato. C’è anche chi sostiene, come il dottor Daniel Jernigan, vicedirettore dell’agenzia americana per la scienza e la sorveglianza, che il sistema di raccolto e diffusione dati del CDC è ormai vecchio e impreciso, e l’emergenza pandemica ha semplicemente mostrato al mondo intero le lacune del centro di analisi e raccolta dati americano. Occorre dunque modernizzare il prima possibile la struttura per garantire ai cittadini di poter accedere a delle informazioni a cui hanno comunque diritto, e questo non non bisogna dimenticarlo.
Ma il quotidiano americano sostiene anche che questa lentezza è causata da una burocrazia sempre più problematica all’interno del CDC. Prima di pubblicare i dati raccolti, l’agenzia è solita condividere i dati con altri centri di ricerca privati e nazionali, senza dimenticare le procedure che impongono di avvisare e ottenere autorizzazione per la pubblicazione da parte del Dipartimento di Salute e dei servizi, che in questo caso agisce sotto la diretta supervisione della Casa Bianca. Passaggi molto lunghi, che finiscono per rallentare il processo di pubblicazione, anche se ad occuparsene non sono gli scienziati ma i funzionari pubblici. Già l’anno scorso il CDC era finito coinvolto in un’aspra polemica: molti scienziati iniziarono ad accusare il centro di aver prestato poca attenzione a chi contrae infezioni dopo il Covid, concentrandosi unicamente, per quanto riguarda la raccolta dati, a registrare soltanto i casi più gravi che finivano ad esempio con un ricovero in ospedale. Una situazione che ha finito con il rallentare gli studi sul Covid che venivano così privati di informazioni essenziali.
Questa però potrebbe non essere tutta la verità.
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Il New York Times ha citato infatti la testimonianza di un funzionario del CDC che ha spiegato come ad esempio i dati sui vaccini siano regolarmente raccolti dal centro e anche con una certa accuratezza. Il CDC si sta dimostrando così riluttante dunque a pubblicarli, non per problemi legati alla lentezza del processo di registrazione, ma semplicemente per il timore che la popolazione possa spaventarsi interpretando in modo erroneo e rallentando così la campagna vaccinale.