Non si fermano gli scontri in Canada, e la svolta autoritaria del governo preoccupa non poco.
Non si ferma la protesta in Canada, e il governo guidato da Trudeau sembra aver scelto di attuare una repressione senza precedenti nei confronti della rivolta dei camionisti. Le operazioni sono in corso dalla giornata di ieri e hanno portato allo sgombero delle strade nella capitale canadese da parte delle forze dell’ordine, che hanno al momento arrestato più di cento persone e rimosso e sequestrato oltre venti veicoli. Non risultano al momento sconti o feriti, resta però il fatto che l’esecutivo guidato da Trudeau ha scelto una linea di tolleranza zero nei confronti dei manifestanti di Ottawa. Il Freedom Convoy, questo il nome che ha preso la protesta dei camionisti contro le misure anti-Covid del governo, è ormai fermo da tre settimane ad Ottawa con lo scopo di bloccare la vita del paese affinché il governo recepisca le loro istanze. Fuori dal mainstream però, alcuni media riferiscono che invece degli scontri ci sono stati, e che la condotta delle forze dell’ordine si è dimostrata alquanto violenta. Nella giornata di sabato, ad esempio, molti utenti canadesi su Twitter hanno segnalato l’utilizzo di granate stordenti e spray al peperoncino contro i manifestanti.
Ci sono poi le dichiarazioni rilasciate dal capo della polizia di Ottawa Steve Bell che la scorsa settimana aveva annunciato l’identificazione delle persone coinvolte in questa protesta, e l’applicazione nei loro confronti di misure molto severe, sia sul versante penale che finanziario. Bell ha affermato che il governo intende mettere fine a questa occupazione illegale del territorio, e che le operazioni di contrasto non si fermano “fino a quando non sarà completata la missione. Siamo a conoscenza di manifestanti che lasciano il distretto parlamentare per trasferirsi nei quartieri circostanti, ma non andremo da nessuna parte finché non avrete riavuto le vostre strade”. La paura più grande al momento è che questa protesta possa spostarsi anche in altre città, e per prevenire questo scenario il governo canadese ha scelto una strada che pone diversi sulla legittimità democratica di questa repressione. Nei giorni scorsi è arrivato un primo segnale importante in merito con l’arresto di Tamara Lich, una dei volti e dei leader di questa protesta. Il suo arresto è arrivato quasi in contemporanea a quello di un altro volto noto della manifestazione, quello di Chris Barber. Entrambi adesso rischiano molto sul profilo penale.
La protesta è nata alcune settimane fa a seguito della decisione del governo di introdurre a partire dal 15 Gennaio 2022 l’obbligo di vaccinazione per tutti gli autotrasportatori che entrano ed operano sul territorio canadese. Una misura, adottata anche negli Stati Uniti, che ha fin da subito scatenato il malcontento del settore, ma non ha però trovato l’appoggio del sindacato dei trasporti che si è invece affidato alla linea scelta da Trudeau. A quel molti camionisti che invece non avevano intenzione di vaccinarsi hanno deciso di protestare in modo autonomo, dando inizio a una protesta spontanea che ha fin dai primi giorni raggiunto un numero molto alto di aderenti, destinata a restare nella storia della nazione. Anche perché, la decisione di manifestare e di dire no agli obblighi vaccinali, ha da subito coinvolto tanti cittadini che con il settore degli autotrasporti nulla avevano a che fare, ma che hanno trovato in questa iniziativa un modo concreto per opporsi al governo. Da quel momento, si è strutturato un dissenso che in poche settimane ha messo in grossa difficoltà il governo, costringendo addirittura il premier Trudeau, all’arrivo dei camionisti a Ottawa, a nascondersi in una località segreta con la scusa di essere risultato positivo al Covid. Fin dall’inizio delle proteste, gli organizzatori sono stati molto chiari sugli obiettivi: far cambiare idea all’esecutivo e cancellare tutte le restrizioni Covid, in particolar modo l’obbligatorietà dei vaccini, e le dimissioni immediate di Trudeau. Il Freedom Convoy ha poi trovato due importanti sponde sul suolo americano.
Il primo a schierarsi dalla loro parte è stato Donald Trump che, in un intervento tenuto nella città di Conroe in Texas, ha espresso solidarietà ai camionisti affermando che “stanno facendo certamente di più dei loro leader per la difesa della libertà americana”. Altro endorsement di un certo rilievo è poi arrivato dal celebre inventore sudafricano Elon Musk, che con uno dei suoi soliti Tweet al vetriolo ha scritto che “I camionisti canadesi dominano”. Il fondatore di Tesla è stato poi coinvolto in un’aspra polemica che lo ha portato in seguito a cancellare un tweet in cui paragonava in modo ironico il premier canadese a Hitler. La risposta del governo canadese a queste proteste è stata fin da subito improntata a una fermezza che forse in democrazia non andrebbe mai adottata in questi termini. La scelta ad esempio di congelare i conti correnti delle persone fermate, rischia di diventare molto più autoritaria persino degli scontri fisici di cui si parla in questi giorni. Si tratta infatti di una misura in grado di neutralizzare il dissenso in modo forse più efficace di un semplice arresto.
Fa anche una certa impressione che proprio in un momento storico in cui il governo ha scelto la strada della repressione coatta delle proteste, pubblichi poi un tweet in cui rimprovera e condanna duramente le violazioni dei diritti umani che si stanno verificando a Cuba. Il riferimento è alle proteste avvenute a Cuba a luglio dello scorso anno, duramente represse dalle forze dell’ordine con atti di violenza condannati dal governo canadese che ha chiesto il ripristino della “libertà di espressione e il diritto a un’assemblea pacifica libera da intimidazioni”.
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Quella stessa libertà che però il governo canadese sta negando ai suoi stessi cittadini. Se da un lato può essere considerato legittimo sgomberare le strade di Ottawa affinché gli altri cittadini che non sono d’accordo con la protesta siano liberi di circolare, dall’altro il modo in cui si è deciso di “perseguitare” i manifestanti che vengono identificati, ha ben poco a che fare con la gestione del dissenso in ambito democratico.
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