La Gioconda di Montecitorio fa esplodere una guerra tra esperti

La consideravano una delle numerose copie del capolavoro di Leonardo Da Vinci, finché non l’hanno restaurata. Ora, alcuni dettagli porterebbero a ipotizzare che il maestro stesso potrebbe aver dato indicazioni concrete

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È guerra di pareri sulla “Gioconda di Montecitorio“, dipinto ribattezzato con questo appellativo, che da anni è rimasto appeso nell’ufficio di un deputato, sopra un termosifone. La discussione è tornata a riaccendere gli animi negli ultimi giorni, tant’è che ci si chiede se si tratti di un dipinto a cui anche Da Vinci abbia dato o meno qualche pennellata o se sia solo una copia creata da un suo epigono circa 200 anni più tardi.

Lo scorso dicembre, il caso è stato portato all’attenzione da Il Tempo, che ha parlato della storia del quadro che ora è nella stanza Aldo Moro, al primo piano a Montecitorio. Quella stanza, fino a qualche mese fa era l’ufficio di uno dei questori della Camera dei deputati, il pentastellato Federico D’Inca, attuale ministro.

La ritenevano solo una delle numerose copie del capolavoro di Leonardo, finché non l’hanno restaurata. La Gioconda di Montecitorio, infatti, che faceva parte di una collezione dei Torlonia, poi consegnata a Palazzo Barberini, è finita tra le mani della restauratrice delle opere di Da Vinci al Louvre, Cinzia Pasquali. A quel punto è giunta la “scoperta”.

La restauratrice:«Non si può escludere che Da Vinci abbia partecipato alla sua creazione»

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Nonostante non sia possibile affermare che Leonardo abbia messo mano all’opera, la restauratrice ritiene che il dipinto appartenga alla sua bottega e che risalga al ‘500. «Il dipinto è molto interessante. Non possiamo escludere che Leonardo abbia partecipato alla sua realizzazione», ha detto Pasquali tempo fa.

Ci sono alcuni dettagli che porterebbero a ipotizzare che Da Vinci abbia fornito indicazioni concrete. Tra l’altro, Pasquali è considerata autrice del “restauro del secolo“, ovvero della pulitura di Sant’Anna con la Vergine e il Bambino con l’agnellino del maestro Leonardo.

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E nonostante il critico d’arte Vittorio Sgarbi ne abbia sminuito l’importanza, definendo la Gioconda di Montecitorio «un modesto dipinto di arredamento», Pasquali conferma la sua tesi all’AgiNon voglio polemizzare con nessuno, ma il catalogo preparato per la mostra all’Accademia dei Lincei ha raccolto molte opinioni autorevoli sul dipinto, basta leggerlo. E poi nella collezione Barberini non ci sono certo delle croste». 

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Pasquali chiosa con una precisazione:«Non ho mai detto che fosse di Leonardo ma che il contesto in cui l’opera è stata realizzata è quello della sua bottega nel ‘500». A supportare questa tesi, è anche lo storico d’arte Antonio Forcellino:«Mi fido dei documenti, e questi dicono che l’opera era già nella collezione Dal Pozzo e dunque è del ‘500. Lo confermano anche le analisi».

Da quando è venuta fuori l’ipotesi che la Gioconda di Montecitorio possa essere “sorella” di quella depositata al Louvre, a Parigi, anche l’amministrazione della Camera intende organizzare, come ha comunicato il questore Francesco D’Uva, un convegno di studio sul suddetto quadro.

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