Blitz dei Carabinieri scoperchia una filiale locale della mafia calabrese. Era arrivata a infiltrare la pubblica amministrazione.
È in pieno svolgimento un’ampia operazione dei Carabinieri del Comando Provinciale di Roma che stanno dando applicazione a un’ordinanza, rilasciata dal gip del Tribunale di Roma su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, che ordina misure cautelari nei riguardi di 65 persone. A carico di alcune di loro pendono gravi indizi di appartenenza a un’associazione per delinquere di stampo mafioso. Secondo i risultati delle indagini, gli uomini avrebbero costituito una filiale locale della ‘ndrangheta che, ipotizzano gli inquirenti, avrebbe preso il controllo del territorio nel litorale a sud di Roma, arrivando ad infiltrarsi nelle pubbliche amministrazioni e a gestire operazioni di narcotraffico internazionale. Sono ancora in corso le attività di perquisizione e di sequestro.
Nello specifico, durante l’attività di indagine, avviata nel 2018 dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma con il coordinamento della DDA della Procura capitolina, si sono scoperti pesanti indizi sull’esistenza, all’interno dell’associazione di stampo mafioso unitaria conosciuta come ‘ndrangheta – attiva sul territorio della provincia di Reggio Calabria e delle altre province calabresi, oltre che sul territorio di diverse altre regioni italiane (Lazio, Lombardia, Emilia, Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta) e sul territorio estero (Svizzera, Germania, Canada, Australia), costituita da molte decine di filiali locali e con un organo collegiale di vertice chiamato “la Provincia”- di una articolazione che opera nel territorio dei comuni di Anzio e Nettuno (detta locale di Anzio e Nettuno, un “distaccamento” dal locale di Santa Cristina d’Aspromonte, anche se fatto in gran parte anche da individui appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta originarie di Guardavalle), servendosi della forza intimidatoria che discende dal vincolo associativo e delle conseguenti situazioni di sudditanza e omertà che si venivano a creare nel summenzionato territorio.
Lo scopo della locale ‘ndranghestista è quello:
– di arrivare ad acquisire la gestione e/o il controllo di attività economiche nei più diversi settori (ad esempio nel campo del settore ittico, della panificazione, della gestione e smaltimento dei rifiuti, del movimento terra);
– di compiere delitti contro il patrimonio, la vita e l’incolumità personale, contro la pubblica amministrazione e nel campo delle armi e della droga;
– di egemonizzare il territorio, controllandolo anche stringendo accordi con omologhe organizzazioni criminose omologhe e infiltrando le amministrazioni comunali;
– di procurarsi comunque, infine, ingiuste utilità.
Gravi indizi fanno pensare che a capo della struttura criminale ci sia Giacomo Madaffari. Ne farebbero inoltre parte anche diversi soggetti riconducibili a storiche famiglie ‘ndranghetiste originarie di Guardavalle (Catanzaro) come i Gallace i Perronace, i Tedesco.
Le investigazioni hanno portato alla luce l’esistenza di due associazioni finalizzate al narcotraffico: una guidata da Giacomo Madaffari e l’altra capeggiata da Bruno Gallace, provviste di elevate disponibilità finanziarie e logistiche, nonché delle capacità di approvvigionare e importare dal Sud America sostanziose quantità di cocaina.
Gli sviluppi investigativi, in particolare, hanno consentito di ricostruire:
– l’importazione dalla Colombia e l’immissione sul mercato italiano di 258 kg di cocaina, operazione avvenuta nella primavera del 2018 attraverso un narcotrafficante colombiano: la sostanza veniva poi disciolta nel carbone per essere successivamente estratta in un laboratorio allestito per l’occasione nel territorio a sud di Roma. Una parte della sostanza stupefacente, equivalente a circa 15 kg, veniva ritrovata, dopo una perquisizione domiciliare, all’interno di una valigia nascosta a casa della sorella – poi arrestata – di uno degli appartenenti al sodalizio;
– il progetto di acquistare e importare da Panama circa 500 kg di cocaina nascosta a bordo di una nave: a tal scopo venivano avviato i lavori di ristrutturazione all’estero del veliero (usato originariamente per regate transoceaniche), si concordavano le operazioni di carico portuale in acque sudamericane e venivano organizzate le attività di scarico e custodia della droga stupefacente in Italia. Tuttavia, gli appartenenti al sodalizio non riuscivano a portare a termine l’operazione perché venuti a conoscenza delle attività d’indagine a loro carico.
Le misure cautelari sono state adottate anche per il reato di traffico organizzato di rifiuti, in relazione alla abusiva gestione di ingenti quantitativi di liquami che sarebbero stati scaricati nella rete fognaria comunale attraverso tombini, alcuni dei quali realizzati ad hoc all’interno della sede di attività imprenditoriali facenti capo agli imputati sul territorio di Anzio.
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Sono state sottoposti a sequestro preventivo le quote, l’intero patrimonio aziendale, i conti correnti e le autorizzazioni all’esercizio delle attività commerciali. Dalle indagini sono emersi elementi riguardanti il reperimento di informazioni riservate da parte di alcuni membri delle forze dell’ordine. I Carabinieri hanno indagato su due militari, appartenenti ad una delle caserme del litorale, portando alla luce gravi indizi che fanno pensare che i due agenti abbiano trasmesso informazioni riservate al sodalizio mafioso.
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Entrambi sono stati raggiunti dalla misura cautelare (uno agli arresti domiciliari e l’altro in carcere), su di loro pesano gravi indizi di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, nonché, su uno dei due, di concorso esterno in associazione mafiosa. Attualmente sono in corso anche perquisizioni presso gli uffici comunali di Anzio e Nettuno che si prefiggono la ricerca di documentazione utile alle indagini. Il procedimento si trova ancora nella fase delle indagini preliminari, di conseguenza per tutti gli indagati vale il principio della presunzione di innocenza
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