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Cronaca

Baby gang e maxi risse del sabato pomeriggio, schedati in mille

Si danno appuntamento via social in città per fare mega risse di sabato pomeriggio senza un vero perché. In difficoltà le autorità locali.

È stata già definita la lista nera oppure, in alternativa, la lista dei cattivi ragazzi, ma sono etichette che vanno bene al massimo per i titoli dei quotidiani o dei telegiornali. A fare colpo è il numero: sono mille, e importa poco se si tratta di una cifra tonda o meno. Alcuni giorni fa il prefetto di Padova Raffaele Grassi, dopo essersi detto «vigile ma non preoccupato», ha annunciato la nascita di un Osservatorio sul disagio giovanile: è un tentativo per cercare di arginare il fenomeno delle maxi risse tra ragazzi che in città sembrano essere diventate un appuntamento fisso del sabato pomeriggio. Il prefetto snocciola qualche cifra: le forze dell’ordine hanno identificato circa un migliaio di ragazzi di età compresa tra i 14 e i 18 anni di età, i loro nominativi sono stati segnalati ai rispettivi Comuni di residenza. «Quasi tutti provenienti dalla provincia, molti dei quali stranieri di seconda generazione, che nel fine settimana si danno appuntamento tramite i social per fare a botte».

Il primo appuntamento a metà gennaio

Rissa tra giovanissimi nella centralissima Prato della Valle – Meteoweek

Il primo “appuntamento” fu fissato per il 15 gennaio, ma non volò neanche uno schiaffo. L’evento e il luogo erano stati così tanto pubblicizzati dal tam tam dei social che a Prato della Valle, la piazza più grande di Padova, luogo di passeggiate e aperitivi, si trovava già un imponente schieramento di reparti mobili giunti da tutta la regione. Si replicò una settimana dopo, e il bis si trasformò in un rimpiattino tra “bad boys” e forze dell’ordine che finì per concludersi dietro il piazzale della stazione, tra via Trieste e la limitrofa piazza De Gasperi, fino a pochi anni fa la zona cittadina più malfamata. Anche quella volta solo qualche scaramuccia e un gran lavoro da parte delle forze dell’ordine per individuare i ragazzi, all’altezza dei due capolinea del tram. Nella stragrande maggioranza dei casi si trattava di giovanissimi senza alcun precedente penale che nelle settimane successive ci provarono di nuovo, senza grande successo.

La rissa dei mille

A fare impressione rimane la cifra, mille e non più mille, a mezza via tra il millenaristico e il garibaldino, un numero spropositato anche per una città che se è la tredicesima più grande d’Italia, ha pur sempre solo duecentomila abitanti e non ha certo i ritmi, i tempi e le alienazioni delle metropoli. Soprattutto manca una vera causa all’origine di un fenomeno del genere. Causa che certo non giustificherebbe, ma magari aiuterebbe a comprendere. Inizialmente, molto prima del 15 gennaio, si trattava di uno scontro tra bande rivali, entrambe di Arcella, il quartiere nei pressi della stazione. Eravamo alla vigilia di Natale, a riprendere la scena coi cellulari c’era un buon numero di coetanei estranei alla disputa. Molto presto però il pretesto iniziale è caduto nel dimenticatoio. «Solo i primi eventi sono riconducibili a dinamiche da gang. Poi è diventato altro, un appuntamento fisso che si è aperto a tutti i giovani della città. La rissa stessa ha perso ogni ragione di rivalsa, è diventata un semplice momento di aggregazione, chi vuole ci sta, chi vuole assiste, comunque l’importante è esserci».

Un fenomeno diventato una moda trasversale

Marco Nimis, Coordinatore della Rete degli Studenti Medi Veneto – Meteoweek

Marco Nimis ha diciotto anni, si è diplomato al liceo Cornaro lo scorso giugno e dal 2019 è coordinatore regionale della rete degli studenti medi del Veneto. Quei ragazzi, praticamente suoi coetanei, li conosce bene. E perciò, col garbo che deriva da una certa esperienza politica e con la sicurezza che discende dalla conoscenza dei fatti, è in grado di correggere l’identikit fornito dal prefetto: «Non sono solo ragazzi del circondario, ci sono anche tanti miei coetanei che frequentano le scuole del centro, è diventata una moda quasi trasversale».

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Naturalmente Padova non è il Bronx degli anni Settanta: le risse qui non sono un fenomeno unicamente locale. Giusto ieri è arrivata la notizia di undici ragazzi di Monselice, italiani di seconda o terza generazione, accusati per associazione a delinquere «finalizzata agli atti violenti». A Padova però la cosa ha raggiunto una dimensione di massa e soprattutto manca un vero perché. CI si potrebbe anche accontentare del bicchiere mezzo pieno: in fin dei conti non è successo nulla di rilevante e le uniche denunce ai ragazzi identificati sono state fatte perché privi di mascherina. «Questi eventi sono falliti» dice il sindaco Sergio Giordani, a capo di una giunta di centrosinistra. Sa che è un terreno caldo, perché a maggio sul tema della sicurezza – reale o percepita che sia – si giocherà la sua rielezione. «Lo ritengo un fenomeno marginale, e passeggero. Con la fine del Covid, i ragazzi torneranno a fare altre attività, e questa rabbia che tentano di scaricare passerà».

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Anche il prefetto Grassi minimizza gli appuntamenti del sabato declassandoli a “danni collaterali” dell’emergenza sanitaria. «Sono giovani che cercano lo scontro sulla base dell’appartenenza a un Comune, o a una singola scuola piuttosto che un’altra» sostiene, elogiando i benefici dell’intervento preventivo. Ma Nimis ha un’altra idea: per lui virus e lockdown hanno senz’altro giocato la loro parte, ma non spiegano tutto. Anni fa, per limitare i fenomeni di spaccio e delinquenza, l’area retrostante la stazione fu spianata per costruirci sopra un piazzale con un parcheggio. Adesso è imminente la costruzione in tutta la città di una dozzina di spazi pubblici per svolgere attività sportive e ricreative. Serviranno a qualcosa? Non per fare della sociologia spicciola, ma di fronte a quel numero così sbalorditivo di “bad boys” forse qualche domanda bisognerebbe anche porsela.

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