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Politica

“Non c’è trasparenza sui vaccini Covid”, la denuncia del British Medical Journal che la politica si rifiuta di ascoltare

Il Senior Editor del British Medical Journal porta la sua voce anche in Italia e denuncia la mancanza di trasparenza sui vaccini. 

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“Il nostro appello sui dati grezzi “aperti” non è una richiesta No vax, ma una richiesta di trasparenza, necessaria su tutti e per tutti i farmaci. Specie in pandemia”.

La notizia è arrivata in Italia grazie all’intervista che Il Fatto Quotidiano ha pubblicato l’8 Febbraio con Peter Doshi, professore universitario presso l’Università del Maryland Senior Editor del British Medical Journal. Non si tratta di uno scienziato qualunque in quanto parliamo di uno dei massimi esperti riconosciuti al mondo sulle sperimentazioni cliniche. Ai giornalisti del Fatto, Doshi si è limitato a ripetere ciò che il BMJ denuncia ormai da settimane: è necessario che su una questione così delicata come i vaccini contro il Covid, vi sia massima trasparenza. E questo al momento è reso impossibile dal fatto che le case farmaceutice continuano a rifiutarsi di fornire i dati grezzi delle sperimentazioni. Anche perché, ha spiegato lo scienziato, “nel caso dei vaccini e dei farmaci anti Covid, tutto ciò che sappiamo viene attualmente solo da ricerche finanziate dalle stesse aziende produttrici, finalizzate all’autorizzazione delle agenzie regolatorie. Sono dati che condizionano le nostre scelte di politiche sanitarie, non possiamo basarci solo sulla fiducia. Ci deve essere un modo per verificare in modo indipendente”.

Per questo diventa fondamentale avere la possibilità di analizzare i dati grezzi riferiti agli studi randomizzati. Soltanto così è realmente possibile monitorare e constatare eventuali differenze cliniche tra il gruppo di vaccinati e il gruppo di controllo che ha invece ricevuto il placebo. C’è poi il problema, spiega Doshi, delle reazioni avverse a questi farmaci. Non si sa ancora nulla infatti delle metodologie di monitoraggio adottate dalle case farmaceutiche relative a quali siano ad esempio le procedure standard applicate nei siti in cui si è tenuta la sperimentazione clinica sui vaccini. Il Senior Editor del BMJ sostiene l’assoluto “bisogno di trasparenza per tutti i tipi di dati, compresi quelli di farmacovigilanza nel periodo post-autorizzazione del vaccino. Anche perché la tempistica per sperimentare eventi avversi è differente da quella necessaria a confermare quegli eventi avversi. In Italia, chiedo, accedete ai report governativi sulle indagini sulle segnalazioni di reazioni avverse gravi?”

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Trasparenza che però sia le istituzioni sanitarie pubbliche che le case farmaceutiche, si rifiutano al momento di fornire. Preoccupante in tal senso è la disputa legale che ha coinvolto la Food and Drugs Administration e Pfizer. Per quanto infatti riguarda quei dati grezzi a cui fa riferimento Doshi, Pfizer aveva stretto un accordo con FDA per rendere disponibili quei dati a un ritmo di circa 500 pagine al mese. Un’intesa preoccupante che con un ritmo di pubblicazione così esiguo, comportava circa 50 anni per poter avere a disposizione i dati completi. Si tratta però di un accordo che è stata successivamente invalidato da un giudice del Texas grazie al ricorso presentato dall’associazione Public Health and Medical Professional for Transparency. Il giudice ha infatti considerato insufficienti le motivazioni che hanno portato la Fda a dichiarare 500 pagine al mese era il massimo possibile, e ha invece stabilito che il ritmo di pubblicazione di questi dati debba invece attestarsi su 55 mila pagine al mese.

L’impressione è la FDA per prima non avesse voglia di rendere disponibili al pubblico i dati richiesti a gran voce da Doshi e da tanti altri colleghi della comunità scientifica. 

Lo scienziato, durante l’intervista concessa ai giornalisti italiani, ha parlato anche dei rischi che stiamo correndo nell’aver voluto fin dal principio sperimentare questo vaccino anche sui bambini: “Un vaccino dovrebbe essere approvato solo dopo test a lungo termine, per poter essere sicuri dei benefici e soprattutto dei rischi, specie per una popolazione come i bambini”. 

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C’è anche un problema di comunicazione all’interno del mondo scientifico e il dibattito si è polarizzato in modo imprevisto: “è tragico quello che è successo. È come se fossimo in guerra. E il dibattito è stato dipinto come una minaccia allo sforzo bellico. Ci viene detto che dobbiamo “seguire la scienza”, ma questo tipo di argomentazione promuove una visione non veritiera della scienza. La scienza è un processo non una conclusione, e richiede discussione, dibattito e trasparenza dei dati. Non possiamo accettare una sorta di realtà binaria in cui tutte le critiche sono automaticamente etichettate come pericolose”

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