Sequestrati beni il cui valore si aggira attorno ai 3,5 milioni di euro a Padova, diverse perquisizioni anche a Ferrara e Roma
Sono sei le misure cautelari effettuate dopo un’inchiesta della Guardia di Finanza di Padova, in merito a illeciti nell’ambito della spesa pubblica. L’accusa è di truffa aggravata per ottenimento indebito di finanziamenti statali del valore di 4,3 milioni di euro, più facilmente accessibili per via delle misure per contrastare l’emergenza Covid19. Nell’ambito dell’inchiesta si è proceduto al sequestro di beni per 3,5 milioni di euro. Effettuate anche altre perquisizioni in luoghi ricollegabili alle persone indagate tra le province di Padova, Ferrara e Roma.
Dall’inizio del 2020, i finanzieri di Padova hanno fatto scattare un’inchiesta su due persone, per appurare la commissione di truffe contro lo Stato. Dalle attività di investigazione, sono stati in 20 a essere segnalati. Di questi, due sono finiti agli arresti domiciliari, in quanto considerati responsabili del sistema truffaldino, altri due hanno obbligo di dimora, e due di presentarsi dalla polizia giudiziaria.
Gli indagati acquisivano aziende non più operative, intestate a dei prestanome, di solito persone disoccupate e pregiudicate, tramite cui si inoltravano richieste di finanziamento di alto valore verso primari istituti di credito. Per ottenere i suddetti finanziamenti, gli indagati, tra cui c’erano anche professionisti, preparavano falsi bilanci, fatture ecc., usando sedi legali fittizie, e poi facevano sembrare le società coinvolte come operative, tramite simulazione di finte condizioni economico finanziarie, facendo al contempo richiesta di garanzia allo Stato, concessa da un fondo apposito stanziato per supportare piccole e medie aziende.
Quando è entrato in vigore il Decreto liquidità durante il periodo di emergenza sanitaria, non solo è cresciuto il numero di beneficiari, ma sono state agevolate le procedure per ottenere lo strumento giuridico e sono cresciute le garanzie da parte dello Stato. Gli indagati avrebbero quindi approfittato di questa possibilità e hanno chiesto ulteriori finanziamenti per 500mila euro.
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Secondo il gip, «gli indagati non si sono limitati a produrre documentazione contenente dati falsi, ma hanno posto in essere (…) veri e propri artifici e raggiri: creano false unità locali delle società richiedenti i finanziamenti; portano o mandano in banca soggetti compiacenti disposti a rivestire il ruolo di amministratori di diritto (…) effettuano movimentazioni sui conti correnti sociali allo scopo di far apparire operative le società, tutti elementi significativi del fatto che non si limitano ad autocertificare l’esistenza di requisiti insussistenti ma realizzano una vera e propria induzione in errore dei delegati ai controlli nella fase in cui deve essere valutata l’ammissibilità delle richieste di finanziamento e della relativa garanzia».
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I soldi incassati in modo indebito erano usati per eseguire operazioni di giroconto tra le aziende che servivano per mettere in atto le truffe, al fine di far apparire operativi i conti correnti movimentati. In seguito, il denaro veniva mandato su conti esteri in Albania, Romania, Regno Unito, Repubblica Ceca, Ungheria, conti ricollegabili agli indagati. In un secondo momento, costoro riportavano il denaro in Italia, ottenuto illecitamente.