Giannini (Unesco):«Ecco gli enormi danni che la chiusura delle scuole ha comportato nel mondo»

Stefania Giannini, vicedirettrice generale Unesco Educazione:«Unesco punta a rilanciare l’agenda per l’educazione»

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Nel febbraio 2020, il nostro Paese scelse di chiudere le scuole come misura di contrasto al Coronavirus, dopo i primi drammatici casi occorsi in Veneto e a Codogno (Lodi). Da quel momento in poi, misure simili sono state adottate a più riprese in tutto il globo, coinvolgendo all’incirca 1 miliardo e 600 milioni di studenti. L’Unesco dall’inizio ha raccolto dati sull’impatto che la pandemia ha avuto sul settore istruzione e ha iniziato anche a dare l’allerta.

Stefania Giannini, vicedirettrice Unesco Educazione, in un’intervista rilasciata all’Agi, ha raccontato:«La buona notizia è che siamo stati ascoltati e ora tenere le scuole aperte è la priorità per quasi tutti i Paesi». Giannini racconta:«Cominciammo a monitorare il processo fin dall’inizio: l’Italia è stato il primo Paese occidentale a essere colpito duramente dalla pandemia, e quindi fra i primi a chiudere le scuole: ma la scelta politica e tecnica di chiudere le scuole come prima misura per affrontare la pandemia sanitaria è ahimé stata condivisa da 190 Paesi al picco della crisi, con un impatto sulla popolazione studentesca di 1 miliardo e seicento milioni di studenti, circa il 92%».

Giannini spiega che alcuni Stati hanno immediatamente compreso la priorità di riaprire le scuole, mentre «altri hanno fatto scelte diverse, ma la nostra direttrice (Audrey Azoulay, ndr) ha fatto appello a tenere aperte le scuole fin dall’aprile del 2020. I dati di oggi sono più positivi, e anche quando nelle scorse settimane la variante Omicron ha di nuovo creato una situazione di disagio per i ministri, la reazione è stata molto diversa e tenere le scuole aperte è ora una priorità che non si discute. Vale per l’Italia, in generale per l’Europa, ma anche per altre regioni del mondo che nelle stagioni precedenti avevano scelto la chiusura delle scuole come strumento efficace dal punto di vista sanitario».

In merito alla questione della didattica a distanza, la vicedirettrice di Unesco Educazione osserva che c’è stata «una precoce polarizzazione in Italia fra i difensori del digital learning, o didattica a distanza (dad), e i suoi acerrimi nemici, ma mi pare che sia stata superata dai fatti. È indubbio che l’insegnamento a distanza come sostituto radicale di una scuola in presenza completamente chiusa ha effetti negativi enormi e indiscussi. Il primo è proprio quello di amplificare le diseguaglianze sociali, mettendo i bambini che hanno un background familiare e strumenti di supporto meno robusti in condizioni di svantaggio.

Oltretutto molto spesso lo erano già prima. Come Unesco lo abbiamo detto subito ma non abbiamo voluto fare campagna contro la tecnologia, che ha assicurato la continuità didattica: senza piattaforme e gli strumenti ibridi messi in atto durante la pandemia, ci sarebbe stato un deficit educativo ancora più sproporzionato e forse sarebbe stato irrecuperabile».

«Dad ha consentito mantenimento contatto tra studenti»

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Riguardo agli aspetti salvabili della didattica a distanza, Giannini sottolinea che sicuramente «ha consentito di mantenere il contatto con gli studenti, permettendo agli insegnanti di restare in una classe virtuale: è un merito, va riconosciuto. Il modello futuro sarà il cosiddetto Hybrid learning, un modello misto che privilegia la scuola in presenza perché è un luogo non solo di apprendimento ma soprattutto di interazione e socializzazione, supporto emotivo e crescita umana». 

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Giannini chiarisce inoltre che «per ridisegnare il futuro, è fondamentale ripensare l’educazione secondo un nuovo contratto sociale, rimettendo in gioco i processi costituenti a partire dalla valorizzazione del ruolo degli insegnanti, che sono state figure professionali essenziali della crisi, come i medici all’ospedale. Ma anche mettendo l’educazione al centro di un nuovo patto con l’ambiente e il pianeta, creando una nuova relazione con la tecnologia: non è demonizzando la DAD che si inventa un futuro adeguato per i sistemi educativi. Questi due anni sono stati un po’ un laboratorio a cielo aperto». 

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La vicedirettrice dell’Unesco conclude spiegando che l’Unesco ha «fatto un’interessante indagine sugli stimulus packages e i piani di recovery e, ahimè, è emerso che in media nei Paesi sviluppati di tutti questi soldi messi a disposizione per la ripresa solo il 3% è stato destinato all’educazione, che scende all’1% nei Paesi in via di sviluppo. Unesco punta a rilanciare l’agenda per l’educazione, con in mente gli obiettivi di sviluppo sostenibili fissati dall’Onu per il 2030, e in particolare quello di un’educazione inclusiva per tutti. Per ottenerlo, servono finanziamenti perché l’educazione sia capace di trasformare la società post-Covid», chiosa.

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