Il blitz della Finanza a casa dell’ex premier Conte per le indagini su fatture e consulenze fornite al gruppo Acqua Marcia, poi fallito.
Tensioni in casa e fuori. L’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si trova a gestire due patate bollenti: da una parte la crisi interna al Movimento 5 stelle, dall’altra le grane legali che hanno portato le Fiamme Gialle a suonare al suo citofono. Sul fronte della politica la frammentazione è ormai chiara, i pentastellati si sono divisi in due fronti distinti: da una parte c’è il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e l’ala più governista dei cinquestelle che sostiene l’alleanza con il Partito democratico, tra cui le ex sindache di Roma e Torino, rispettivamente Virginia Raggi e Chiara Appendino. Dall’altra parte c’è l’ex premier Conte e il tentativo di un riavvicinemanto con la Lega (dopo l’esperienza fallimentare del governo gialloverde), appoggiato tra gli altri anche dall’ex deputato Alessandro Di Battista. Per entrambi – Conte e Di Maio, leader ed ex leader – l’obiettivo è quello di avere il controllo del partito. Mantenerlo, nel caso di Conte. Riprenderselo, nel caso di Di Maio. Intanto, a fare da mediatori tra i due, i capigruppo di Camera e Senato Davide Crippa e Mariolina Castellone, ma anche il garante del M5s Beppe Grillo.
Tuttavia ciò che ha scatenato un vero e proprio terremoto giudiziario è stata l’indagine sugli incarichi del gruppo Acqua Marcia, tra cui quello di Conte. L’ex presidente del Consiglio avrebbe ottenuto un incarico da 400mila euro in cambio della garanzia ad Acqua Marcia dell’omologa del concordato da parte del Tribunale fallimentare di Roma. Tutto nasce dalle parole dell’avvocato Piero Amara, che nei verbali fa proprio il nome del leader dei cinquestelle. Tanto che, lo scorso autunno, i militari della Guardia di Finanza della Capitale hanno bussato a casa dell’ex premier e alla porta degli studi legali, incluso lo studio Alpa, per acquisire i documenti su fatture e consulenze relative al rapporto con il suddetto gruppo. L’indagine delle Fiamme Gialle è per bancarotta, per dissipazione e per false fatturazioni. Al momento, tuttavia, nessuno sarebbe indagato.
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“Mi disse Vietti che la nomina (di Conte per il concordato, ndr) era condizione per ottenere l’omologa del concordato”. Lo ha messo a verbale l’ex consulente Eni nel dicembre del 2019, quando Conte era presidente del Consiglio. L’avvocato siciliano ha raccontato ai magistrati di Milano che nel 2012 Michele Vietti, ex vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, aveva invitato Amara a suggerire a Fabrizio Centofanti, all’epoca responsabile delle relazioni istituzionali di Acqua Marcia ormai famoso per le presunte corruzioni di Luca Palamara, di nominare per il concordato alcuni professionisti a lui vicini. Da Enrico Caratozzolo a Giuseppe Conte, passando per Guido Alpa.
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In un altro verbale Amara parla della parcella, facendo mettere nero su bianco che gli importi previsti erano di 400 mila euro a Conte e di 1 milione di euro ad Alpa. In realtà, tuttavia, non tutte le parcelle sarebbero state pagate: quelle di Conte, ad esempio, sarebbero state pagate solo in parte. E questo potrebbe rivelarsi un passaggio centrale per l’inchiesta. In ogni caso, al momento le dichiarazioni di Amara sono state smentite da tutte le persone coinvolte. Sia da Centofanti che da Vietti, ma anche dallo stesso Conte. Gli ultimi due hanno addirittura smentito di conoscere l’avvocato siciliano, definendo calunniose le dichiarazioni rese ai pm di Milano.
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