Oggi si è consumata la seconda fumata nera per il Quirinale, chiusa con 412 schede bianche. Il punto della situazione sulla strategia (o non-strategia) del centrosinistra.
La terza giornata di voto per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica vede un’altra fumata nera, corredata da ben 412 schede bianche. Le preferenze dei grandi elettori, quando espresse, sembrano essersi orientate sul presidente della Repubblica uscente Sergio Mattarella: nonostante abbia sottolineato più volte di non esser interessato a un secondo mandato, Mattarella oggi ha incassato ben 125 preferenze. Segue Guido Crosetto, candidato di Fratelli d’Italia, che incassa 114 voti, regalando a tutto l’arco parlamentare un dato da analizzare. La domanda vien da sé: FdI ha usato il nome di Crosetto per mostrare i muscoli e lanciare un segnale? L’ex deputato nega tutto: “Quale segnale? Che i gruppi parlamentari hanno voglia di votare nomi e non scheda bianca. Hanno usato me per dimostrare questo“. In attesa di comprendere la reale strategia del centrodestra, ad ogni modo, potrebbe tornare utile osservare le altre preferenze espresse: spiccano l’ex magistrato Paolo Maddalena con 62 voti, Pier Ferdinando Casini con 52 voti, Giancarlo Giorgetti con 20 voti e Marta Cartabia con 8
Questo lo stato dell’arte all’alba della quarta votazione, quella di domani, quando il quorum scenderà a 505 e i grandi elettori inizieranno a giocare sul serio. Intanto, avanza sempre più il nome di Elisabetta Casellati, attuale presidente del Senato, sostenuta da Matteo Salvini e dai suoi alleati. Lo stesso Salvini avrebbe iniziato a lanciare i primi, inequivocabili, messaggi: Casellati è “lì a disposizione“ in quanto presidente del Senato, “non c’è neanche bisogno di candidarla“, avrebbe sottolineato il leader del Carroccio. Uno scenario di questo tipo, ovviamente, porta con sé altri tatticismi, che riguardano anche M5s e Pd. In breve, il centrosinistra (o “l’ala progressista”, come preferisce definirla Giuseppe Conte).
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Quirinale, l’ipotesi Casellati genera frenesia
Il Pd teme che – dietro le quinte – si sia rinnovato l’asse tra Salvini e Conte, lo stesso asse votò Casellati nel 2018 per “rappresentare il Paese“. Per questo Enrico Letta appare perentorio nel rifiutare il nome che il centrodestra vorrebbe proporre nella giornata di domani: “Proporre la candidatura della seconda carica dello Stato, insieme all’opposizione, contro i propri alleati di governo sarebbe un’operazione mai vista nella storia del Quirinale. Assurda e incomprensibile. rappresenterebbe in sintesi il modo più diretto per far saltare tutto”, ha scritto il segretario Pd su Twitter. Un no, seppur con toni differenti, sarebbe arrivato anche dall’ex premier e leader del M5s Giuseppe Conte, che avrebbe commentato la possibile nomina di Casellati in questo modo: “Metterla in gioco ora, in una fase di contrapposizione, sarebbe un grande errore nonché uno sgarbo istituzionale“. Quale sarà, allora, la posizione dell'”ala progressista“? In che modo incontrerà la posizione del centrodestra?
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Quirinale, dal centrosinistra ancora nulla
Difficile a dirsi. E’ per questo che Enrico Letta lascia aperta la porta del tanto auspicato “conclave”, l’ultimo tentativo per evitare lo strappo definitivo con il resto della maggioranza. Stando alle indiscrezioni, i grandi elettori del Pd si riuniranno questa sera alle 21 per fare il punto della situazione. Intanto Pd, M5s e LeU rinnovano l’appello a un vertice condiviso con tutte le forze di maggioranza. Tutti in una stanza, senza chiave, “fino a quando arriviamo a una soluzione”, aveva auspicato Letta. Un’idea che potrebbe apparire anche suggestiva, se non fosse per gli ultimi nodi da sciogliere. In primis, le distanze già assunte da Giuseppe Conte, che ammonisce i giornalisti: “Non parlate più di vertice di centrosinistra, ma di fronte progressista. Con il Pd e Letta non ci sono differenze di valutazione“. Come a dire: il Pd non conta più di noi, uno vale uno, e ciò che ne uscirà fuori dovrà piacere anche a noi. Per questo, fa sapere l’ex premier, “stiamo lavorando per un presidente autorevole e super partes“. Il secondo problema riguarda il destino di Draghi: l’aspirazione di Letta di farlo eleggere al Colle è ormai nota, così come è nota la contrarietà del M5s, che vorrebbe lasciarlo a Palazzo Chigi.
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Il Movimento ha sempre sostenuto l’esigenza di mantenere Draghi premier fino alla fine dell’emergenza, e in questa occasione rinnova il suo sostegno, ricorda Conte, che indirettamente ribadisce di non volerlo vedere prendere posto al Quirinale. Insomma, al netto delle schede bianche e delle tante fughe di notizie, un dato resta incontrovertibile: le forze politiche non hanno ancora iniziato a parlarsi seriamente, neanche quelle che dovrebbero appartenere allo stesso asse politico. Il resto, è solo una tattica dimostrazione di muscoli prima di dare il via al colloquio. Il problema è che il centrosinistra, volendo aspettare che tutti si siedano al tavolo, rifugge l’occasione di creare una contro-rosa di nomi, per quanto ipotetica, per quanto precaria. Il problema è che così si obbliga ad accettare il primo nome plausibile presentato dal centrodestra, accettando di giocare al ribasso. Intanto, lo sguardo dei grandi elettori ogni tanto si rivolge verso Sergio Mattarella, cerca sostegno, magari per altri sette anni. Magari cambia idea.