Terzo giorno di voto in Parlamento per l’elezione del presidente della Repubblica: occhi puntati sul centrodestra, mentre Letta convoca un “conclave”.
Come era immaginabile, anche la giornata di ieri – la seconda di voto per l’elezione del Presidente della Repubblica – ha portato ad un nulla di fatto. 527 schede bianche, Sergio Mattarella e Paolo Maddalena i nomi più votati. Era un risultato atteso, d’altronde: ad oggi, l’impressione è che ci vorrà del tempo per trovare la quadra tra i partiti ed individuare una figura condivisa da eleggere.
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L’elemento di novità della giornata di ieri è stato l’elenco di nomi avanzato dal centrodestra: l’ex presidente del Senato Marcello Pera, l’ex sindaca di Milano e attuale assessora alla Sanità della Lombardia Letizia Moratti, e l’ex magistrato Carlo Nordio. «Questi non sono candidati di bandiera, non abbiamo tempo per giochini politici», ha dichiarato Matteo Salvini, anche se poi i fatti sembrano smentire questa posizione, più strategica che fattuale. Infatti un nome che potrebbe diventare “pesante” nella giornata di oggi è quello di Maria Elisabetta Alberti Casellati, attuale presidente del Senato, e che potrebbe avere la possibilità di essere considerato meno divisivo di quelli proposti ieri.
“Nomi di qualità, ma non li voteremo”: così Matteo Renzi ha liquidato le prime tre candidature della destra, andando ad esprimere un pò le intenzioni di tutto il centrosinistra. Candidati divisivi, che non garantirebbero quell’approccio “super partes” che invece è la caratteristica principale che dovrà avere il nuovo presidente della Repubblica. Almeno stando alle dichiarazioni di questi giorni: in realtà la figura sulla quale si troverà un accordo sarà quella che garantirà equilibrio ed agibilità politica rispetto alla fase che stiamo vivendo, a prescindere dal curriculum o dalla vicinanza con questo o quello schieramento. Da questo punto di vista la candidatura della Casellati potrebbe essere un passo in avanti del centrodestra sulla strada del largo consenso, anche se pure sulla presidente del Senato potrebbe gravare lo stigma della divisività.
“Basta tatticismi, chiudiamoci in una stanza a pane e acqua e troviamo una soluzione condivisa”: Enrico Letta ieri sera ha lanciato la sua proposta per superare le divisioni e convergere in fretta su un nome. Una possibilità che potrebbe essere recepita dai leader politici e che potrebbe favorire una soluzione più rapida. Anche se il nodo resta sempre lo stesso: Mario Draghi. Il PD è su quel nome che vorrebbe insistere, individuando quindi un nome per il governo che garantisca la tenuta della maggioranza fino al 2023. Impresa che appare molto difficile, al momento: il centrodestra ha espresso una sorta di veto, che al momento sembra tenere. E anche il Movimento 5 Stelle appare ondivago, sul nome dell’attuale premier. Il timore del segretario del PD è che il centrodestra privi a forzare la mano: magari proprio sul nome della Casellati, oppure su quello di Tajani.
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Al momento il grande assente appare proprio chi avrebbe dovuto essere il candidato numero uno: l’attuale premier Mario Draghi. In realtà già da qualche settimana il tema della tenuta dell’esecutivo stava prendendo sempre più piede nell’analisi dei partiti, soprattutto del centro destra e del Movimento 5 Stelle. Una maggioranza così ampia da tenere unita fino alla fine della legislatura comporta la necessaria presenza al timone di Mario Draghi: questa in sintesi la tesi di chi si oppone alla sua elezione a capo dello Stato. Il veto espresso da Silvio Berlusconi al momento della rinuncia alla sua candidatura ha rafforzato questa posizione, che sembra quella di riferimento per la destra. E per il PD questo è un enorme problema: i Dem vorrebbero proprio Draghi al Quirinale, ma in questo momento è un’ipotesi che – paradossalmente – appare complessa da attuare. In questo momento, sottolineiamo: perchè nel corso della giornata tutto potrebbe accadere, come insegnano le passate elezioni dei presidenti della Repubblica. Oggi si parte alle 11, e la giornata si annuncia lunga e complessa.
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