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Brasile, sarà Lula l’anti-Bolsonaro alle prossime elezioni?

Sembra sempre più probabile che lo scontro alle prossime elezioni sarà tra Lula e Bolsonaro, senza che vi sia un terzo candidato forte a frapporsi tra i due. 

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Le elezioni presidenziali si terranno in Brasile nel mese di Ottobre, e con tutta probabilità, il vero scontro sarà tra l’attuale presidente Jair Bolsonaro e Lula de Silva

Un’ipotesi che di settimane in settimana sembra ampiamente confermata dai sondaggi nazionali, che vedono in queste due figure politiche i veri protagonisti delle prossime elezioni, gli unici che sembrano attualmente in grado di andare al ballottaggio in un ipotetico secondo turno. Troppo distanti in termini numerici gli altri candidati, come l’ex giudice Sergio Moro o il governatore di San Paolo Joao Doria. Al momento dunque, sembra difficile ipotizzare che possa frapporsi qualcuno tra Lula e Bolsonaro. L’ex presidente inoltre continua a restare in testa nei sondaggi. Il suo partito Dos Trabalhadores si sta occupando di creare, coinvolgendo anche l’ala progressista, circa cinquemila comitati che lo supporteranno durante la campagna elettorale. Lula sta sostanzialmente cercando di portare dalla sua parte l’ala centrista della nazione, e vuole presentarsi all’elettorato come il vero “anti-Bolsonaro”. Non sembrano invece esserci grossi cambiamenti nella strategia di Bolsonaro che come sempre, tira dritto per la sua strada. Il presidente brasiliano non sembra nemmeno preoccuparsi troppo del calo di consensi che ha registrato negli ultimi mesi, in particolar modo nella fascia più povera della popolazione.

La situazione economica nel paese è molto complicata, con una recessione ancora in corso e un’inflazione che ha già superato la soglia del 10 per cento su base annua. Bolsonaro però sembra dimostrare un’attenzione particolare per i parlamentari del “Centrao”, a cui ha anche concesso molto spazio nel suo esecutivo. Anche i mercati sembrano credere che lo scontro ad Ottobre si consumerà tra Lula e il presidente brasiliano, e che non vi siano al momento gli estremi per ritenere che possa arrivare un terzo candidato forte. C’è però una questione che Lula non ha ancora affrontato e riguarda gli scandali che hanno travolto prima il suo governo, e poi la sua fedelissima Dilma Rousseff. Diventa impossibile pensare che, con l’entrata nel vivo della campagna elettorale, l’ex presidente possa realmente evitare l’argomento. Sono in tanti poi, gli analisti che ritengono che sarà l’economia il vero termometro dei prossimi mesi. Se la situazione peggiora insomma, gli elettori perdoneranno a Lula gli scandali in cui è coinvolto, nella speranza che possa far ripartire l’economia occupandosi dei ceti meno abbienti. Laddove invece Bolsonaro riuscisse a mettere le basi per la ripresa economica, una sua riconferma sarebbe a quel punto molto probabile. Analisi che però non tengono conto dello scontro tra Bolsonaro e il resto del mondo sulla gestione della pandemia, e che sta polarizzando una parte dell’elettorato indipendentemente dalla schieramento politico. Se una parte del popolo brasiliano ritiene scandaloso la gestione di Bolsonaro della pandemia, dall’altra invece molti sostengono che la sua lotta con l’occidente sia stata giusta in tal senso, e non bisogna necessariamente pensare che ad appoggiarlo in questo specifico caso siano esclusivamente elettori di centrodestra. 

Quanto peserà alle prossime elezioni il problema del disboscamento in Amazzonia?

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Che Bolsonaro venga riconfermato o meno, il Presidente del Brasile dovrà comunque confrontarsi con il problema di quanto sta accadendo in Amazzonia. Durante il suo mandato infatti, le aree disbocate nella foresta sono cresciute del 74 per cento, con più di 24 mila chilometri quadrati ormai inservibili e consumati. Il peggior risultato da quindici anni a questa parte nella nazione, e che compromette in modo forse definitivo la tutela della biodiversità animale e vegetale in una delle foreste più antiche del mondo. Su questo però fatta un importante e doverosa precisazione: sarebbe semplicemente assurdo pensare che Bolsonaro sia colui che da solo sta sostanzialmente “uccidendo” l’Amazzonia, quando tantissime aziende sotto accusa per questa deforestazione, sono state finanziate da banche e istituti che hanno sede in Europa, Cina e Inghilterra e Stati Uniti. Significherebbe ridimensiona il ruolo dell’Occidente in questa faccenda. Lo conferma ad esempio un recente documento pubblicato dall’associazione Global Witness: “Questi istituti finanziari hanno incassato 1,74 miliardi di dollari di interessi, dividendi e commissioni dal finanziamento delle parti dei gruppi agroalimentari che comportano il più alto rischio di deforestazione”. Nel rapporto vengono citati colossi finanziari come la Deutsche Bank, BNP Paribas o HSBC. Fa una certa impressione rilevare poi come Jp Morgan, una delle più grandi multinazionali di servizi finanziari in America, abbia da sola “concluso accordi per un valore stimato di 9,38 miliardi di dollari con aziende accusate di deforestazione”. Non va comunque dimenticato in questo contesto che Bolsonaro si è sempre dichiarato apertamente un negazionista sul cambiamento climatico, ostacolando apertamente tutti gli scienziati brasiliani che invece mettono in rilievo i pericoli a breve termine rappresentati dal diboscamento. 

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E durante la sua esperienza di governo, ci sono stati diversi atti legislativi che miravano a foraggiare i settori produttivi senza preoccuparsi in alcun modo delle conseguenze ambientali. Nel mese di agosto ad esempio, la camera brasiliana ha approvato un disegno di legge che lascia sostanzialmente campo libero e immunità giudiziaria agli imprenditori che hanno sfruttato le terre di stato in modo illegittimo in passo le terre pubbliche.

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