Una delle ipotesi sul tavolo tra i dem e i pentastellati è quella di uscire dall’aula al momento del voto, nel caso in cui la candidatura di Berlusconi alle Quirinarie divenga realtà
Il segretario del Pd Enrico Letta e il leader pentastellato Giuseppe Conte si sono visti nella giornata di ieri lunedì 11 gennaio 2022. Un incontro per discutere e capire se esistono le basi per concordare una possibile alleanza per l’elezione del Presidente della Repubblica. Non sembra esserci unità di intenti al momento a sinistra circa un’eventuale candidatura comune da proporre per le Quirinarie. ma anche il centrodestra sta scontando lo stesso problema. Forza Italia continua a insistere su Berlusconi come unico nome possibile per mantenere compatta la coalizione di centrodestra. Italia Viva invece ha aperto un dialogo sia a destra che a sinistra, facendo intendere che convergeranno sul nome che ritiene più opportuno, indipendentemente dallo schieramento politico. Nel Pd però la situazione continua ad essere caotica e anche per questo la direzione del partito è stata posticipata al fine settimana. Tiene ancora banco la frangia guidata da Matteo Orfini che nella riconferma di Mattarella vede l’unica soluzione possibile per non creare ulteriore instabilità al paese, visto che una salita al Colle di Mario Draghi lascerebbe il paese a suo giudizio senza un premier credibile. Per quanto invece riguarda la Lega, Salvini è stato ospite nella giornata di ieri alla trasmissione Porta a Porta condotta da Bruno vespa.
Il leader leghista continua a dimostrarsi tiepido nei confronti della candidatura di Berlusconi, ma la considerazione più interessante la fa a proposito del futuro della legislatura: “Una volta eletto il presidente della Repubblica bisognerà riflettere anche sulla natura del governo, bisognerebbe mettere in campo tutte le energie migliori possibili da parte di tutti i partiti. Un governo debole da qua a marzo 2023 non fa un buon servizio agli italiani”. Una riflessione che nasce naturalmente per mettere le cose in chiaro nel caso in cui Draghi finisse realmente al Quirinale: il Carroccio fa intendere che in quel caso non sarà disposto ad accontentarsi di un premier qualunque in sua sostituzione. Non esiste agli occhi della Lega, quel pilota automatico di cui parlava Draghi in una conferenza stampa dello scorso anno, che consentirebbe a qualunque premier arriva dopo di lui, di gestire la situazione economica in serenità.
Un’ipotesi in realtà che era stata avanzata per primo da uno dei leghisti di punta del governo, il Ministro Giorgetti, che aveva a suo tempo auspicato il passaggio di Draghi al Quirinale per un semi presidenzialismo di fatto in cui il ruolo del premier viene ridimensionato in favore dell’ex Presidente della Bce che nel suo nuovo ruolo potrebbe “guidare il convoglio da fuori”. Vi è però da aggiungere che qualcosa sembra cambiato tra Giorgetti e Draghi, e l’assenza del Ministro leghista nell’ultimo e importantissimo Consiglio dei Ministri a Dicembre, in cui si è votato l’obbligo di vaccinazione per gli over 50, è stato un chiaro segnale di rottura.
Pd e 5 stelle potrebbero inoltre fare fronte comune per impedire l’ascesa di Berlusconi al Colle. Una delle ipotesi sul campo, che pare sia stata avanzata dallo stesso Letta, è quella di uscire dall’aula al momento del voto in modo che il Cavaliere non possa attingere a voti segreti da parte dei due partiti. Nella serata di Mercoledì 13 Gennaio 2022 si terrà poi l’assemblea dei deputati pentastellati, che servirà a discutere e chiarificare ulteriormente la posizione del Movimento a queste elezioni. L’idea è quella di affidare a Conte un mandato “totale” per le trattative del Quirinale, dandogli dunque la possibilità di negoziare come meglio crede per poi riferire alla base.
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Esiste però anche chi, all’interno dei 5 Stelle, continua a credere fortemente che un Mattarella Bis sia l’unica soluzione possibile. Se questa ala nella prossima riunione diventasse maggioritaria, Conte verrebbe semplicemente delegato a proporre la candidatura e le trattative che ne conseguono, senza però avere margini di autonomia nelle negoziazioni con gli altri partiti.