Nonostante la decisione del giudice che ha stabilito la regolarità del suo visto, Djokovic resta comunque in attesa della decisione del Ministero dell’immigrazione australiano.
Per il momento, Novak Djokovic è libero.
Dopo una notte di interrogatorio, alla fine il giudice australiano che si occupa del suo caso ha stabilito la regolarità del suo visto. Il futuro del tennista serbo resta però ancora incerto. È già stato fatto filtrare da fonti istituzionali australiane, che il ministro per l’immigrazione potrebbe comunque decidere di espellerlo dal paese. E fino a quel momento dunque, il tennista serbo resta libero sul territorio australiano, annunciando in conferenza stampa di essere pronto a disputare il torneo nonostante quanto accaduto.
L’ipotesi di una sua espulsione dall’Australia è tutt’altro che esclusa. Fin dal giorno in cui Djokovic ha deciso di informare i suoi fan della sua partecipazione agli Australian Open grazie a un certificato di esenziona vaccinale, la polemica non si è più fermata. Fino a quel momento infatti, il tennista non aveva mai dichiarato se si fosse vaccinato o meno, nonostante lo scontro con il resto del mondo tennistico sulle misure Covid lo avesse fatto intendere ormai da tempo. Djokovic ha sempre rivendicato la sua libertà di scelta ed è per questo che già alcuni mesi fa aveva annunciato che di fronte a restrizioni così pesanti nei confronti degli atleti professionisti che non si sottopongono al vaccino, era disposto anche a ripensare la sua carriera sportiva.
Per tutti questi motivi nelle ultime settimane la sua partecipazione agli Australian Open, in una nazione che, insieme all’Italia, sta portando avanti delle politiche restrittive molto ferree ( È in Australia d’altronde che si è verificato il lockdown più lungo della storia a causa del Covid) e che non è più disposta ad accettare dei non vaccinati sul territorio, sembrava una mera chimera. Fino per l’appunto, al giorno dell’annuncio con cui il serbo ha ufficializzato la sua partecipazione.
In Italia, nessuno sembra aver perdonato la decisione del tennista. Enrico Mentana ad esempio appresa la notizia aveva subito avanzato una richiesta all’intero mondo dello sport: bloccare subito l’iscrizione di Djokovic al torneo: “Vogliamo dire con chiarezza che il mondo dello sport dovrebbe bloccare l’iscrizione di Nole Djokovic agli Open d’Australia Che credibilità avrebbero le istituzioni, sportive e non, a proseguire nella linea della fermezza e della coerenza contro la pandemia, dopo una tale clamorosa e ingiustificabile eccezione?”. Persino più caustico nei confronti del tennista Paolo Condò, una delle penne più importanti del giornalismo sportivo italiano: “Al posto degli avversari rifiuterei di affrontarlo”. Implacabile anche il giudizio sulla questione di Milena Gabanelli che sul Corriere della Sera scrive che “Fa più danni l’ammissione di Djokovic agli open australiani di tutte le manifestazioni no vax… Pecunia non olet”.
E naturalmente, andando oltre l’Italia, nel resto del mondo le reazioni sono state più o meno identiche in un dibattito che ormai risulta perennemente polarizzato tra Pro Vax e Novax, e che non lascia scampo ad alcune mediazione: o Djokovic è un santo che si sta immolando per la causa, oppure un furbetto che ha tentato di aggirare le regole a partecipare comunque al tornerò. In realtà, guardando anche le più recenti interviste dello sportivo sul tema, la sensazione è che Djokovic sia semplicemente un atleta che vuole continuare a gareggiare esercitando la sua libera scelta di non vaccinarsi e che per inseguire questo ideale, è disposto anche a rinunciare ad uno dei tornei più prestigiosi al mondo.
Il problema però è che, nessuno dei giornalisti italiani che ha attaccato in modo così deciso il tennista serbo, ha portato un qualche tipo di elemento concreto che lasci pensare che Djokovic abbia ottenuto un’esenzione falsa. Si da per scontato che il tennista sia un privilegio, un furbetto che ci sta provando, senza però che vi siano prove concrete nel merito. Non che ci possa essere il dubbio, anzi, è giusto che un giornalista comunichi anche sensazioni e opinioni di cui non necessariamente ha certezza. “Pecunia non olet” scriveva per l’appunto la Gabanelli lasciando intendere come ci trovassimo di fronte a un caso di palese favoritismi in virtù dei soldi che il tennista serbo porta alla competizione.
Illazioni, anche pesanti in alcuni casi, che però colpiscono un tennista che fino a prova contraria, come ha stabilito oggi il giudice australiano, ha presentato una regolare esenzione, e dunque non ha fatto nulla di diverso da altri cittadini. Nulla di diverso da quanto invece il giornalismo italiano ha iniziato fin dal principio a rimproverargli con una saccenza e un astio di cui si poteva francamente fare a meno.
Si continua a considerare Djokovic un privilegiato che in virtù del suo stato sociale scavalca le regole, ma in realtà l’interrogatorio che ha subito stanotte suggerisce un’ipotesi contraria: nonostante il suo status tennistico, la carriere el serbo sta invece vendendo compromessa proprio a causa della sua scelta di non vaccinarsi. E ne sta scontando le conseguenze come un qualsiasi cittadino.
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Fa una certa impressione leggere l’interrogatorio subito da Djokovic dalla polizia australiana che la Gazzetta dello Sport ha pubblicato. Nelle righe si percepisce chiaramente quanto siano intimidatorie alcune domande rivolte dal poliziotto incaricato, di fronte a un Djokovic sempre più incredulo circa le domande e le richieste che gli vengono rivolte.
POLIZIOTTO: Ora, Novak, sulla base delle informazioni che ci hai fornito… ti comunicherò solo l’intenzione di prendere in considerazione la cancellazione del tuo visto (…).
DJOKOVIC: Non capisco, mi state cancellando il visto?
POLIZIOTTO: Questo è un avviso. Quindi una volta che ti ho notificato questo avviso ti darò 20 minuti – o se hai bisogno di più tempo puoi richiederlo – per fornirci i motivi per cui non dovremmo annullare il visto.
(Interrogatorio di Novak Djokovic in Australia, Gazzetta dello Sport)