L’ex assessore regionale piemontese Angelo Burzi, prima di togliersi la vita, ha lasciato una lettera dove ha spiegato la sua decisione.
Nella notte di Natale, Angelo Burzi, classe 1948, ex assessore regionale piemontese, è morto suicida. Esponente di spicco del centrodestra locale, era stato uno dei fondatori di Forza Italia in Piemonte. Nel 1995 era stato eletto in consiglio regionale. E due anni dopo, nominato come assessore regionale al Bilancio e al Personale, ruolo che svolse fino al 2002. Da anni era coinvolto in processi giudiziari. Il 14 dicembre scorso era stato condannato ad una pena di 3 anni nell’ambito del processo Rimborsopoli. Un processo che riguarderebbe le spese a quanto pare effettuate dai consiglieri regionali con fondi destinati ai gruppi consiliari. Prima di togliersi la vita, l’ex assessore ha scritto una lettera dove ha spiegato il motivo della sua decisione finale.
L’ex assessore regionale piemontese Angelo Burzi ha scritto una lettera, una sorta di messaggio di addio, prima di porre fine alla sua vita. Si legge nel testo che ha come oggetto ‘La fine della storia‘: “Non sono più in grado di tollerare ulteriormente la sofferenza, l’ansia, l’angoscia che in questi anni ho generato oltre che a me stesso anche attorno a me nelle persone che mi sono più care, mia moglie, le mie figlie, i miei amici“. Parole forti che fanno riflettere circa lo stato di ansia ed angoscia in cui viveva da tempo l’ex assessore, che aveva coinvolto anche la sua famiglia e i suoi amici. Da qui la drastica decisione.
Lo scopo della lettera e quindi della sua decisione riguarda così sia problemi di salute che più nello specifico i problemi giudiziari in cui era coinvolto da anni. “Interverrà la sospensione dell’erogazione del vitalizio per la durata della condanna. Probabilmente si sarà fatta nel frattempo nuovamente viva la Corte dei Conti pretendendo le conseguenze del danno di immagine da me provocato, diciamo non poche decine decina di migliaia di euro. Credo tutto ciò sia soggettivamente insostenibile, banalmente perché col vitalizio io ci vivo, non essendomi nel corso della mia attività politica in alcun modo arricchito“.
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Nel corso della lettera, Angelo Burzi fa anche riferimento ai suoi ‘nemici’, ai personaggi che “hanno contraddistinto in maniera negativa questa mia vicenda in questi dieci anni“. Quindi, si riferisce dapprima ai giudici del primo processo e poi al sostituto procuratore che “dall’inizio perseguì la sua logica colpevolista, direi politicamente colpevolista“.
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La lettera si conclude con un’ultima frase decisiva: “Siccome arrendermi non è mai stata un’opzione, frangar non flectar, esprimo la mia protesta più forte interrompendo il gioco, abbandonando il campo in modo definitivo“.
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