Morto in carcere dopo avere perso 25 kg: “Sembrava Stefano Cucchi”

Antonio Raddi è morto in cella a soli 28 anni. La famiglia ritiene le istituzioni responsabili e chiede giustizia

Morto in carcere dopo avere perso 25 kg: “Sembrava Stefano Cucchi”

Antonio Raddi è morto in cella a soli 28 anni. La famiglia ritiene le istituzioni responsabili e chiede giustizia

Ho conati di vomito tutte le volte che tocco cibo“, questo avrebbe detto durante la sua detenzione, ma non fu curato a dovere fino a perdere quasi 25 kg. Ancora una morte in cella, questa volta la vittima è Antonio Raddi, 28 anni, deceduto nel carcere di Vallette a Torino. Al momento del suo arrivo in prigione pesava 76 kg, sette mesi dopo era arrivato a 52.

Il caso risale al 30 dicembre del 2019, Raddi aveva contratto una grave infezione polmonare alla base del decesso, infezione giunta probabilmente a causa del deperimento. La famiglia accusa le istituzioni di non averlo curato a dovere durante la sua permanenza in cella, ora toccherà alla magistratura stabilire eventuali responsabilità.

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Alcune testimonianze raccontano la detenzione di Antonio. Descrivono il suo come un “progressivo e preoccupante decadimento” iniziato a luglio con l’arrivo in prigione. Secondo alcuni compagni di cella, avrebbe smesso di mangiare perché “era convinto che una volta sceso a 40 chili sarebbe uscito” e rifiutava le cure. I legali della famiglia negano e affermano che in ogni caso il ragazzo andava curato in maniera adeguata, cosa che non è avvenuta.

Secondo gli avvocati, Raddi soffriva di depressione in seguito alla morte della fidanzata. Da allora aveva iniziato a fare pesante abuso di droghe. Una volta in cella per possesso di stupefacenti, alla depressione si era aggiunta inappetenza e insonnia. Fattori che lo avevano pesantemente indebolito.

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Ad agosto ha iniziato a non mangiare e a deperire. I miei genitori hanno capito che qualcosa non andava e hanno iniziato ad andare più assiduamente alle visite” racconta Natascia, sorella della vittima, al quotidiano La Repubblica. “Prima magari andavano 2-3 volte al mese, poi hanno iniziato ad andare una volta a settimana o anche due. Lui chiedeva di aiutarlo e mio padre si è esposto, ha parlato con tante persone. Anche nelle lettere a me mio fratello diceva di andare a parlare con i magistrati di sorveglianza. Ma non è servito a nulla“. “Quando l’ho visto poi in ospedale, in coma, ho sollevato il lenzuolo e ho visto le costole che spuntavano, la pelle sembrava coperta da ematomi, il volto scavato… Sembrava Stefano Cucchi, anche se le loro storie sono molto diverse” ha raccontato ancora.

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Vorrei che chi lavora in carcere capisse che chi è detenuto non deve perdere il diritto a essere curato e assistito. Non si possono far morire le persone in carcere. Certe cose di come si sta in carcere io le ho sapute dai compagni di cella di mio fratello, quando sono usciti. Mai sapute prima perché certe cose i carcerati non le dicono… Mio fratello compreso” HA ha concluso la sorella di Raddi.