Giorgio De Bona, 47 anni, è sopravvissuto dopo una caduta in un crepaccio, salvandosi per miracolo. Era precipitato a testa in giù, ma è riuscito a risalire di alcuni metri
Giorgio De Bona, 47 anni, sci-alpinista di Alpago (Belluno) è riuscito a sopravvivere dopo una caduta a testa in giù in un crepaccio, riuscendo a risalire di alcuni metri. Lo hanno ritrovato tra il monte Cavallo e il Semenza, in provincia di Belluno. Come riporta Il Corriere della Sera, De Bona ha passato tutta la notte tra sabato e domenica al freddo e al buio, e lo hanno ritrovato domenica mattina. Era in un crepaccio, tra pareti verticali di 10 metri, con il cellulare che non prendeva. «Non sono mai stato fermo per tutta la notte, non ho mai chiuso gli occhi. Intorno a me c’era lo strapiombo. Se fossi caduto di nuovo non sarei più riuscito ad uscirne vivo», ha raccontato.
Giorgio è un’alpinista esperto, ma il buco in cui è caduto si trovava sotto un cornicione ghiacciato e non ha potuto vederlo. «Sono caduto ad un certo punto senza poter far nulla, a testa in giù alla fine della corsa ero in un posto stretto, incastrato nella roccia. Mi è salita una gran rabbia. “No”, mi sono detto. “Proprio a me non può capitare”. E con tutte le forze che avevo mi sono liberato e mi sono girato».
A un certo punto ha alzato la testa e ha notato una parete di roccia molto alta che non lasciava intravedere la luce e ha iniziato a risalirla. Per riuscire nell’impresa, ha dovuto lasciare lo zaino anche se all’interno conteneva una coperta termica e il resto dell’equipaggiamento. «In alcuni momenti bisogna fare delle scelte, il movimento con lo zaino era più complicato, lo controllavo meno. Nella posizione in cui ero avevo uno strapiombo a sinistra e uno a destra, non potevo fallire altrimenti mi sarebbe stato fatale. Volevo fare il possibile per salvarmi. Sono arrivato su. Quando ho visto il cielo ho tirato un sospiro di sollievo. Mi sono messo in un punto in cui potevo appoggiare gli scarponi in uno spazio di neve battuta. Alle spalle avevo la roccia per appoggiarmi se mi fossi sentito mancare. E poi ho aspettato fissando la sveglia ogni 30 minuti».
Giorgio è rimasto intrappolato per tutta la notte, senza però mai perdere lucidità e senza mai arrendersi. Si è tolto i guanti e asciugato le mani, è rimasto sempre in piedi e ha cambiato ripetutamente posizione per fare in modo che i suoi muscoli non si atrofizzassero. «Non ho mai avuto paura veramente. Ero soprattutto dispiaciuto per le persone che erano a casa. Per i miei figli di 13 e 10 anni, Michelangelo e Sebastiano. E per mia moglie Annalisa. Mi hanno aiutato da lontano. Sapevo che dovevo resistere per loro. Sentivo il loro pensiero, il loro aiuto. Senza di loro non sarei nemmeno riuscito a risalire, li avevo davanti ai miei occhi. Li ho avuti lì tutto il tempo. Non avrei mollato per nulla al mondo», ha continuato De Bona.
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Il suo telefono non prendeva e non funzionava neppure l’arva, l’apparecchio che si usa per rintracciare le persone se c’è una valanga. I soccorsi, con gli elicotteri, sono passati tre volte il primo giorno, ma nessuno lo ha notato. Lo hanno visto solo il mattino seguente. «Ho alzato le braccia, le ho sventolate e loro mi hanno visto, sapevo che l’incubo era finito. Credente? Sì ma fin lì. Pensare ai tuoi cari però secondo me è già una preghiera. Aiuta. Io ero lì a cercare di non congelarmi, e loro a casa a pensarmi. Ci vuole lucidità. Io non avrei mollato in ogni caso. Neanche se avessi dovuto passare un’altra notte così», ha chiosato.
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