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Estero

Hong Kong, con le elezioni patriottiche si entra in una nuova era

I critici descrivono il voto ad Hong Kong di domenica come “illegittimo” mentre Pechino inasprisce le misure per ridurre il dissenso e spazzare via il movimento pro-democrazia.

Giorni prima delle elezioni del consiglio legislativo di Hong Kong, 15 mesi dopo la data prevista, l’ex legislatore Ted Hui inveisce contro il governo. Nella città australiana in cui si trova Hui è lontano dai mandati di arresto di Hong Kong e può parlare liberamente. “Per il popolo di Hong Kong non ci sono molte scelte ora se non accettare elezioni illegittime. Il parlamento sarà un timbro di gomma per Pechino e queste elezioni non hanno alcun elemento democratico”.

Dopo più di due anni di brutale repressione del dissenso da parte di Pechino, la città di 7,5 milioni di persone è profondamente cambiata. Il movimento pro-democrazia risulta annichilito e i suoi più grandi sostenitori e combattenti imprigionati, messi a tacere o mandati in fuga all’estero. Sotto una campagna soprannominata “i patrioti gestiscono Hong Kong”, una revisione del sistema elettorale ha eliminato la parziale democrazia che Hong Kong aveva una volta. Adesso è effettivamente impossibile per l’opposizione ottenere una maggioranza. “Chiunque non sia contro il governo è un ‘patriota’”, dice Hui. “Chiunque non parli contro la democrazia e la libertà è un ‘patriota’”.

Il nuovo sistema ha ridotto la percentuale di legislatori che gli abitanti di Hong Kong potevano eleggere direttamente dal 53% al 22%. Un comitato elettorale ristrutturato, che nomina il capo dell’esecutivo da una rosa approvata da Pechino, ha ora il potere di riempire 40 dei 90 seggi. Il comitato è composto da 1.500 persone scelte tra candidati pre-approvati da meno di 5.000 elettori idonei questo settembre. Solo un candidato non considerato strettamente pro-establishment risulta eletto nel comitato, e numerosi potenziali candidati alle elezioni sono già stati squalificati.

Elezioni rinviate ad Hong Kong

La settimana scorsa il direttore dell’Ufficio per gli Affari di Hong Kong e Macao di Pechino, Xia Baolong, ha dichiarato che gli hongkonghesi stavano finalmente per sperimentare una vera democrazia, dopo aver sprecato così tanto tempo “cercando ciecamente” lo stile occidentale.

“Ha portato divisioni sociali, lotte feroci, causando crisi come una società disordinata, un’economia squilibrata e un governo inefficace”, ha detto. “Il popolo cinese non è mai stato così fiducioso nel sistema socialista democratico con caratteristiche cinesi come oggi”. L’elezione del consiglio legislativo era inizialmente prevista per settembre 2020, ma rinviata di un anno, citando le preoccupazioni per la sicurezza sulla pandemia. È stata rinviata di nuovo dopo che Pechino ha annunciato la revisione delle regole.

Gli osservatori hanno suggerito che il rinvio e i cambiamenti potrebbero essere frutto non del Covid ma del risultato delle elezioni del 2019. In quel caso tutti i seggi tranne uno erano stati vinti da candidati pro-democrazia, mettendo in imbarazzo il governo cinese. Nove mesi dopo, il capo dell’esecutivo Carrie Lam ha annunciato il primo rinvio delle elezioni principali.

La fine della democrazia di Hong Kong

Hong Kong non ha mai ottenuto il suffragio universale promesso al passaggio del 1997 dal dominio britannico a quello cinese. Allo stesso tempo, però, aveva un’opposizione vibrante e un sistema politico robusto che permetteva la partecipazione democratica alla maggior parte dei livelli di governo. La società civile era forte e le manifestazioni frequenti. “Queste erano competizioni elettorali dinamiche e vivaci, e questo era davvero speciale a Hong Kong”, dice Jeffrey Wasserstrom, professore di storia cinese all’Università della California.

Successivamente alle proteste pro-democrazia del 2019 è seguita una repressione brutale, poi la legge sulla sicurezza nazionale, che mette fuori legge tutto ciò che le autorità ritengono essere secessione, sovversione, terrorismo o collusione con forze straniere. Tra gli oltre 130 arrestati in base alla legge c’erano 47 candidati, veterani della campagna elettorale e legislatori in servizio per aver tenuto primarie elettorali non ufficiali, una caratteristica comune della politica di Hong Kong ma poi classificata come illegale. La maggior parte è stata rinviata in carcere in attesa di giudizio, insieme a una lista crescente di attivisti politici.

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Il britannico Hong Kong Watch e l’attivista auto-esiliato Ray Wong hanno lanciato mercoledì una campagna sui social media “#Releasemycandidate”. Trentadue dei candidati accusati sono rimasti dietro le sbarre negli ultimi dieci mesi dopo chesi sono visti negata loro la cauzione. L’hashtag “#Releasemycandidate” è ora presente sul profilo di attivisti e politici di tutto il mondo, compresi Regno Unito, Europa, Giappone, Australia e USA.

Bassa affluenza ma il governo dice sia una cosa buona

Recenti sondaggi hanno previsto un’affluenza per domenica molto bassa, inferiore al 50%, anche se il governo ha aperto per la prima volta il voto ai residenti di Hong Kong sulla terraferma. Mercoledì Lam ha detto ai media statali cinesi che una bassa affluenza alle urne era un segno positivo per la sua amministrazione.

“C’è un detto che dice che quando il governo sta facendo bene e la sua credibilità è alta, l’affluenza alle urne diminuirà perché la gente non ha una forte richiesta di scegliere diversi legislatori per supervisionare il governo”.

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Hui descrive i suoi commenti come ridicoli. “Il regime sta cercando di gestire le aspettative in modo che la gente sappia che andrà bene avere una bassa affluenza alle urne”, dice. “Credo che la gente abbia perso totalmente interesse per le elezioni. Non si sentono affatto impegnati. Direi che la maggioranza delle persone deciderà di non votare”.

 

 

 

 

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